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Ma la svalutazione cosa vuol dire in concreto?

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22 Ottobre 2011

Egregio direttore,
la svalutazione della divisa nazionale viene vista da alcuni come la soluzione per riavviare l’economia.

E’ una tesi suggestiva ed è innegabile che nel passato è stata spesso utilizzata da Paesi con scarso rigore nei conti pubblici, per cercare di rendere i propri prodotti “economici” e “competitivi” rispetto ad altri e dare una “spinta” all’economia.

I risultati di queste strategie storicamente tuttavia non hanno dato risultati apprezzabili se i Paesi che hanno attuato queste strategie sono gli stessi che ancora oggi hanno le maggiori difficoltà. E’ più un palliativo che una soluzione strutturale, che passa invece da rigore nei conti pubblici, efficienza nella spesa, stabilità politica e capacità di governare le dinamiche economiche, fiscali e industriali del Paese.

La svalutazione infatti ha molte controindicazioni, tra cui bisognerebbe ricordare almeno le seguenti:

– se il Paese importa molte merci e le paga con moneta estera (es: energia), i costi delle materie prime tendono ad aumentare significativamente e quindi deve continuamente svalutare, ma ciò aumenta ancora i costi delle materie prime e si innescano spirali inflazionistiche che sistematicamente pagano le classi medio basse e i salari fissi, che si adeguano con ritardo all’aumento dei prezzi. Come dire, alla fine pagani i deboli e i soliti.

– Nei confronti dei creditori dello Stato, la svalutazione è assimilabile ad una dichiarazione di insolvenza sotto mentite spoglie: invece di dire “sono in grado di pagarti solo il 40% del mio debito” (vedi Grecia) gli dico “riduco il potere di acquisto della moneta con cui ripago i miei debiti del 40%”. L’esperienza purtroppo dimostra che queste “pratiche” sono molto poco apprezzate da chi finanzia uno Stato, e generano effetti ampiamente recessivi.

– Un effetto diretto di quanto indicato al punto precedente è poi che i tassi di interesse dei titoli pubblici torneranno a galoppare come a inizio anni 90, quando i titoli di Stato dovevano pagare interessi nell’ordine de 15%. Alti interessi significa ancora sacrifici. La presenza nell’area Euro, invece, come noto, ci ha consentito nel passato di beneficiare di tassi di interesse estremamente bassi, solo che non siamo stati capaci di trasformare in minor costo in un abbattimento del debito.

Non vedo veramente alcun motivo per sostenere la soluzione della svalutazione.

Ma c’è anche un altro aspetto da considerare: coloro che sostengono la svalutazione trascurano un particolare essenziale: le modalità di “uscita” dall’Euro.

Cioè, quale sarà il cambio di uscita dall’Euro? Supponendo che si ritorni alla lira, quale sarà il tasso a cui sarà ri-convertito il nostro debito pubblico, i nostri risparmi, i nostri stipendi, etc…? Ovviamente non il rapporto 1 Euro = 1936,27 lire del 2001 ma qualcosa di molto diverso. Sarebbe un rapporto che affosserebbe il valore dei nostri risparmi, farebbe impennare i costi dei beni importati, farebbe schizzare l’inflazione, dimezzerebbe il PIL, etc.. ossia il fenomeno descritto sopra.

E’ uno scenario che gli economisti e i Greci si sono già posti e hanno calcolato che per la Grecia uscire dall’euro sarebbe come dichiarare un default al 70/80% sul proprio debito; ridurrebbe il PIL al 40% rispetto ad oggi nel primo anno, di un altro 20% nei successivi 4 e solo dal 5 anno il Paese comincerebbe a crescere, ma impiegherebbe decenni per raggiungere il livello di PIL e quindi di “benessere” odierno.

Dunque, non ho capito bene in cosa consista la soluzione della svalutazione.

Cordialmente

Antonio Mele

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