Non scholae, sed vitae discimus”: impariamo per la vita, non per la scuola.
17 Settembre 2009
Gentile Direttore,
una riflessione compiuta in questi ultimissimi giorni, nata tra i banchi di scuola, mi spinge a scrivere queste righe.
Sono un’insegnante di scuola superiore, che per mestiere ha a che fare con ragazzi che vanno dai 14 ai 19 anni. Sono un’insegnante felice del proprio lavoro, che lo compie con tutta la passione di cui è capace, dopo quasi vent’anni dalla prima volta che ha messo piede in classe.
I giovani mi piacciono, mi sento a loro vicina, mi piace sostenere i loro entusiasmi, assecondarne gusti e passioni, condividere interessi. Sono bravissimi ragazzi, quelli con cui fortunatamente ho contatti, ragazzi per bene, che frequentano un liceo scientifico statale, diligenti e svegli, piuttosto educati e rispettosi.
So che per altri colleghi insegnanti la realtà quotidiana è ben diversa. So che ci sono scuole problematiche, in cui le difficoltà disciplinari non si contano, in cui la pazienza e la stabilità del docente sono continuamente messe a dura prova da atteggiamenti provocatori e da azioni scorrette.
Ma, fortunatamente per me, i giovani che mi trovo davanti mi rendono facile il mio lavoro, a volte così faticoso.
Cerco di trasmettere, col mio quotidiano esempio, l’entusiasmo e l’amore che nutro per le discipline che insegno, per le pagine di autori che- pur dopo mille letture-ancora mi provocano emozione.
Credo fortemente nel ruolo educativo dei docenti, penso che gli insegnanti debbano ancora, a testa alta, offrirsi come modelli di vita e di comportamento, insegnando ai ragazzi che il merito, l’onestà, la fatica, la buona volontà, la diligenza, la serietà, la costanza e la determinazione a fare ciò che si fa siano le carte vincenti per una vita felice.
Mi sforzo di essere ragionevole e seria nelle mie richieste ed esigo da loro la medesima serietà. Non mi presto a giustificazioni, rifuggo da un atteggiamento troppo permissivo così come da quello troppo autoritario, preferendo l’autorevolezza alla prepotenza e il rispetto al timore.
Insegno loro a non sottrarsi alle proprie responsabilità, cerco di non fare sconti, di premiare chi vale e si profonde nell’impegno, di non far conseguire facili vittorie a chi non le merita.
Paragono continuamente il mio ruolo di docente con il mio di genitore, ne traggo spunto, mi aiuto su un fronte facendo tesoro dell’altro.
In un recente rimbrotto ad una classe ho illustrato l’importanza, in famiglia e nella scuola, dell’autonomia, del sapersi arrangiare con i mezzi onesti che la vita ci fornisce, del non aspettarsi sempre tutto come se ci fosse dovuto, ma dell’imparare a faticare per raggiungere gli obiettivi che ci interessano.
Poi, penso a come questa linea educativa, mia e di tanti stimati colleghi che negli anni ho conosciuto e che mi sono stati modello, sia messa a dura prova da una politica di svilimento della scuola pubblica, del merito, della qualità, della serietà.
Amministratori e politici del settore scolastico, che dovrebbero fornirci i modelli comportamentali, tagliano le risorse, sotterrano gli entusiasmi, affossano la motivazione, peggiorano la qualità, parlano a vuoto e rappresentano il più fulgido esempio di come nella scuola e nella vita siano la mediocrità, l’incompetenza e la furbizia a garantire le opportunità.
E se queste cose le hai imparate da una scuola che te le insegna e che ne è intrisa, ne sarai già fornito per la tua vita di adulto, dove troverai gli stessi meccanismi.
La saggezza latina infatti ci ricorda che “non impariamo per la scuola, ma per la vita”!
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