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Piano di pace o Riserva indiana?

pace Legnano
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19 Ottobre 2025

Tutti sappiamo o dovremmo sapere che  siano state o che fossero le riserve indiane. Aree di territorio destinate (dalle amministrazioni coloniali, prima, e nazionali poi) all’occupazione da parte di popolazioni native. Il fenomeno è stato particolarmente frequente in America, dove sono state istituite le riserve indiane, per reinsediare forzatamente i nativi americani o, se vogliamo, i poveri Pellirosse La denominazione ufficiale, in inglese, è Indian reservation negli Stati Uniti e Indian reserve in Canada. Negli Stati Uniti, in pieno Ottocento, la cosa spesso avvenne in seguito ai trattati di pace, spesso firmati sotto coercizione, nei quali le tribù dei Pellirosse cedevano grandi porzioni di terra, in cambio di piccoli territori riservati a sé stesse; senza dimenticare che il governo federale ben presto cominciò a ricollocare con la forza le tribù in porzioni di terra con le quali esse non avevano alcun legame storico. L’allontanamento forzato causava molti problemi alle tribù che perdevano i mezzi di sostentamento e venivano vincolate a una determinata zona: gli agricoltori ad esempio si ritrovavano con terre inadatte per l’agricoltura e l’ostilità fra le tribù stesse. Tale allontanamento dei nativi dalle loro terre iniziò ben presto tanto che, secondo approfonditi e anche recenti studi, la cosiddetta Rivoluzione americana per l’indipendenza dalla madre patria inglese fu più una battaglia contro gli Indiani che una guerra contro i Britannici. Così, quando la guerra si concluse con il Trattato di Parigi del 1783, fu generalmente inteso dai funzionari americani che il trattato spogliasse gli Indiani di tutti i diritti di proprietà ad est del fiume Mississippi. E’ pur vero che spesso i nativi si ribellarono alla politica di ricollocazione forzata da parte del governo federale. Ricordiamo un episodio per tutti: 25 giugno 1876 la battaglia nei pressi del fiume Little Bighorn, dove i  Sioux, i Cheyenne e gli Arapaho  di Toro Seduto e Cavallo Pazzo annientarono  il 7º Cavalleria del generale Custer.

La lunga premessa per chiederci: alla luce della difficile applicazione e rispetto sia da parte israeliana sia da parte di Hamas, il Piano di pace di Trump e Netanyahu per Gaza è un vero Piano di pace che porterà , pur dopo un travagliato percorso, all’obiettivo auspicato di due popoli e  due stati in pace tra loro o è una  resa forzata imposta ai Palestinesi, come avvenne a suo tempo per i nativi americani? Non entriamo troppo nel merito dei 20 punti del Piano, né vogliamo negare la bontà, se avvenisse, di por fine al terrorismo di Hamas, nonché allo sterminio dei Palestinesi, circa 70.000 in due anni, perpetrato dall’esercito israeliano su mandato del governo stesso israeliano. Governo molto caro alle destre europee, compresa la destra della post fascista italiana Meloni. La storia è davvero a volte tragico-comica nella sua drammaticità, se pensiamo che i più accaniti difensori  o amici di Israele oggigiorno sono gli eredi dei regimi fascisti   del secolo ventesimo. Ma torniamo a noi ed al Piano di pace. La sua applicazione effettiva, pur se accettata formalmente, da parte di Hamas e della destra estrema al governo in Israele è tutta da vedere: dal ritiro di Israele da Gaza, alla deposizione delle armi da parte di Hamas, alla consegna degli ostaggi o dei prigionieri da una parte e dall’altra. Ci limitiamo per ora a ciò che il direttore della prestigiosa rivista Limes, Lucio Caracciolo, ha dichiarato a proposito: “Un’operazione ad altissima enfasi, ma ancora lontana da una vera soluzione. Stiamo parlando di un semilavorato che viene venduto come prodotto finito e confezionato”.  Perché Caracciolo afferma questo? In primo luogo  perché ci deve essere sia l’adesione convinta, non finta delle due parti in lotta. Non si esclude nel piano di pace che, allontanata Hamas,ci possa essere un ruolo per l’Autorità nazionale palestinese, né si esclude in futuro la creazione dello Stato palestinese. Ma per il momento Gaza sarà sotto il  controllo di un  Comitato per la Pace, guidato da Trump con l’ex Primo Ministro britannico Tony Blair, nonché governata temporaneamente da un governo palestinese ‘tecnocratico e apolitico’, con l’esclusione quindi non solo di Hamas, ma della stessa Organizzazione Liberazione della Palestina, già di Arafat. Sembra cioè di assistere alla politica dei Mandati,  con cui Francia e Inghilterra si spartirono il controllo del Medio Oriente alla fine della prima guerra mondiale. E infine il futuro stato palestinese: affermazione vaga e lontana nel tempo, verso cui l’ostilità di Netanyahu e della destra israeliana è totale, tanto più che Israele non pare intenzionata a ritirarsi dalla Cisgiordania o a cessarne l’occupazione da parte dei coloni; Cisgiordania, che  già i trattati dei decenni scorsi, assegnavano allo stato palestinese.                                                                                                                    

Per concludere: tutti ci auguriamo la fine del massacro o dei massacri, ma il piano di pace al di là della sua attuazione non pone, a mio parere, basi solide per porre fine ad un conflitto iniziato nel 1947 con la nascita dello stato di Israele. Senza scordarci un’ultima osservazione: se siamo arrivati a questo tragico punto, di chi le responsabilità? Di Israele e dei movimenti come Hamas, tra loro peraltro obiettivamente complici; degli stati arabi, soprattutto Sunniti, che in tutti i decenni trascorsi dal 1948, a fronte di un’avversione, ora un poco sopita, verso Israele, non hanno mai veramente appoggiato e difeso i diritti dei Palestinesi; dell’Occidente,USA e stati europei, che o si sono appiattiti troppo sui governi israeliani o non sono mai stati veramente in grado di promuovere una politica per il superamento del conflitto, fonte di una grave instabilità politica territoriale e forse mondiale, nonché certamente grande tragedia umanitaria e morale.

Mariuccio Bianchi

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