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Riaprire, “cum iudicio”.

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3 Maggio 2020

Pochi giorni fa ho ricevuto un WhatsApp dal mio responsabile che informava noi apprendisti che l’azienda aveva provveduto ad acquistare ben seicento test sierologici da somministrare a tutti i dipendenti nella giornata di lunedì quattro maggio.
Una notizia splendida, inaspettata, il modo di ripartire con la giusta marcia.
Perché la sicurezza in tempo di pandemia (e non solo) è tutto.
Probabilmente da parte mia avrei provveduto a sottopormi al test il prima possibile.
Siamo sinceri, non me la sento di circolare in un edificio con altre seicento persone sapendo di essere potenzialmente una vera e propria arma biologica. In questi mesi non ho avuto alcun tipo di sintomo, né febbre, né problemi respiratori, solo il solito maledetto raffreddore da fieno col quale convivo sin da bambina.
E parliamone, di questi tempi, siano stramaledette le allergie stagionali. Uno starnuto e boom, scatta la “caccia alle streghe”.
Mi sento fortunata.
Sinceramente non so se la mia famiglia avrà la stessa fortuna, perlomeno in tempi brevi. Non è una questione economica, grazie a Dio possiamo spendere quei 30/40 euro decisamente a cuor leggero al momento.
Ma purtroppo non per tutti è così.
Sono fortunata, è indubbio.
Nonostante le difficoltà posso contare sia sul supporto della mia famiglia, sia sulla soddisfazione di un buon lavoro.
In azienda stanno investendo parecchio su noi ragazzi.
Passatemi il modo di dire: “ci stanno trattando con i guanti”.
Durante queste settimane abbiamo lavorato comodamente dal divano di casa.
Casa. Un appartamento fornito in comodato dall’azienda, perché potessimo dedicarci serenamente al lavoro e alla nostra formazione, senza pensare ad affitti e bollette.
Non è poco.
Tante persone in queste settimane si chiedono che ne sarà del loro domani, fanno fatica ad arrivare a fine mese, a portare a casa il pane.
Noi abbiamo lavorato regolarmente, senza riduzioni di orario, né di retribuzione.
Tutto regolare, ma da casa.
Ripeto, non è poco.
Ma quelle che per noi in questi mesi sono state “certezze”, per tante, troppe persone sono state ragioni per non dormire la notte, motivi di ansia e disagio.
Non so cosa voglia dire aver paura di non poter dare da mangiare a figli, non ho mai patito la fame.
Non so cosa voglia dire non avere i soldi per comprare una maglietta, un paio di jeans, delle scarpe da tennis.
Ho sempre avuto il necessario, anzi, molto di più.
Non sono ricca, ma con i sacrifici di mio papà e di mio nonno, indubbiamente posso ritenermi benestante.
Non per tutti è cosi, c’è tanta gente che si è trovata nell’occhio del ciclone da un giorno all’altro senza ben sapere il perché.
Da domattina scatta la “fase 2”.
Test sierologici, una “nuova normalità” fatta di sorrisi, guanti, distanze sociali e mascherine.
Ricordo quando Apple annunciò la release dell’app “Measure”.
Non è passato molto. Sinceramente l’idea di utilizzare il cellulare come un moderno righello mi sembrava perlomeno “balzana”.
E invece no, il “righello digitale” potrebbe essere l’accessorio dell’anno.
Ma quello che mi preoccupa di più è il pensiero che ci sono intere categorie di lavoratorI “lasciate a casa”.
E non sono persone come me che si siedono sul divano, aprono il pc, e sorseggiando un caffè bollente sbrigano le faccende quotidiane da remoto.
In fondo, se lavoriamo in shorts e tuta da casa (videochiamate permettendo) o vestiti di tutto punto in ufficio poco importa.
Ma come noi abbiamo bisogno di un pc, corrente elettrica e una connessione di rete, c’è chi ha bisogno del suo studio, del suo laboratorio.
Pensate a un mondo senza internet. Rifletteteci un istante.
Ecco, ora capite, ad esempio, la situazione che stanno affrontando parrucchiere, estetiste, operatori di centri motori e sportivi.
Loro non possono far ogni cosa da remoto.
Per intenderci: la ceretta non si fa per corrispondenza.
E tantomeno non si fa senza DPI. Perché, come ci tengono a precisare fior di operatrici del settore, in tali settori l’uso di guanti monouso e mascherine non è cosa da tempi di Covid, bensì la routine quotidiana.
Senza contare il fatto che questi specialisti spesso non operano tra pareti “di proprietà”, bensì hanno affitti o mutui da pagare.
E chi paga senza lavoro e introiti?
Lo stesso vale per i centri sportivi. Ho letto pochi giorni fa alcune dichiarazioni del presidente della FIN, il quale commentava l’autorizzazione a far allenare gli “atleti di interesse nazionale” nei centri sportivi ribadendo la non-sostenibilità economica di mantenere attivi gli impianti per 1-2 persone.
In fondo, non credo ci voglia una laurea in economia per arrivarci.
Costa troppo.
Tra le tante incoerenze, mi colpisce un altro aspetto: perché i tabaccai sono considerati “servizi essenziali”?
Permettere alla gente di uscire per andare a comprare le sigarette è un po’ come permettere a un drogato di andare a procacciarsi la dose.
O sbaglio?
Ma si sa, e passatemi la polemica, un monopolio di Stato come i tabacchi vale troppo per essere messo da parte, anche in tempo di Covid-19.
Ma se da un lato le sigarette sono “specie protetta”, allo stesso tempo intere categorie professionali, probabilmente colpevoli di un codice ATECO “antipatico”, stanno a casa.
A oltranza.
Fino a giugno forse? A luglio?
Ah, e forse ci perdiamo per strada un’altra conditio-sine-qua-non per la riapertura delle serrande, ovvero il problema del “se non fallisco prima”.
Per citare qualcuno di molto noto, “Oh tempora, o mores”
Non sarebbe più semplice lasciare le strade a chi ne ha bisogno?
Io posso usare un pc comodamente da casa e andare (Iddio sia lodato) a camminare nei boschi la sera o in pausa pranzo.
C’è chi, dello studio, ne ha bisogno davvero.
E ne vogliamo parlare di treni e aerei direzione sud-Italia completamente pieni?
L’ennesima fuga in arrivo?
Non so perché, ma già sento odore di “sole a scacchi 2.0”, e questa è solo un’opinione personale.

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