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Come a Guantanamo, senza intimità e senza cibo

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13 Maggio 2009

Sono qui seduta sul davanzale di una finestra e guardo fuori dal V piano del MERAVIGLIOSO NUOVO OSPEDALE DI VARESE POLO DI ECCELLENZA ECC. ECC. ; vedo un panorama meraviglioso : il Sacro Monte, il Campo dei Fiori, i tetti di Varese e in lontananza le Alpi con ancora un po’ di neve sulle cime ma soprattutto rivedo il sole dopo 4 giorni di luce artificiale.
Eh, sì perché dopo 4 giorni e 4 notti passati al Pronto Soccorso mi sembra di essere veramente uscita da Guantanamo.
Ho accompagnato mia madre di 88 anni in PS venerdì sera per una sospetta ischemia cerebrale; nel giro di pochissimo tempo sono stati fatti tutti gli accertamenti del caso ed è stato stabilito che la situazione non era particolarmente grave ma che era necessario un ricovero per osservazione e ulteriori accertamenti.
Da quel momento in avanti ci si è aperto l’inferno: non essendoci posti disponibili in reparto mia madre è rimasta da venerdì sera fino a martedì alle 12.30 su una barella, in un corridoio con la luce accesa 24 ore su 24.
Le convenzioni internazionali stabiliscono che la privazione di sonno e la luce accesa in una cella 24 ore al giorno si configura come tortura e violazione dei diritti umani.
Questi lunghissimi 4 giorni e 4 notti sono passati senza alcuna privacy, con barelle affiancate le une così vicine alle altre a tal punto che la persona di fianco a mia madre le ha vomitato addosso.
I momenti che sembravano lunghissimi e interminabili scorrevano con sentimenti di rabbia, compassione o tenerezza, con gente estraniata che girava per i corridoi, popolo sofferente in un tempo sospeso dove non esisteva più il giorno o la notte.
 
Ho sentito, una notte, di un incidente, forse mortale, che coinvolgeva ragazzi e non ho potuto fare a meno di telefonare a casa per sapere se le mie figlie erano rientrate.
Ho visto parenti arrivare a cercare i propri familiari, li ho visti sorridere o piangere, alcuni spingevano barelle con malati trasportati come quarti di bue slittanti e sfuggenti.
Ho visto crearsi confidenze o forse amicizie, ho visto ammalati aiutarsi l’un l’altro come compagni d’armi in trincea aspettando gli “arancioni” cioè gli infermieri vestiti di arancione, angeli custodi che ti portano finalmente in reparto.
Ho visto il personale del PS gestire una situazione oltre la possibilità umana e credo che, se fossero pagati, per ogni passo che fanno sarebbero milionari.
Ho dovuto accompagnare mia madre in un servizio perché l’infermiera potesse farle una iniezione garantendole, se non l’igiene, almeno un po’ di intimità.
 
Per 4 giorni e 4 notti non abbiamo avuto un attimo di silenzio ho ancora le orecchie ovattate che risuonano di rumori lontani e gli occhi arrossati per la congiuntivite dopo 4 notti e 4 giorni di luce artificiale.
Ho dovuto io andare a comperare da mangiare a mia madre all’Esselunga perché in PS non arrivava cibo a sufficienza per tutti i ricoverati e francamente mi domando se i (faccio molta fatica a definirli tali) managers dell’ospedale non avrebbero potuto ordinare al bar di fianco panini e toasts per i ricoverati; difficile far finta che fosse un pic nic in famiglia ma almeno si evitava la fame.
Mi domando ancora il senso e l’utilità della hall con la sua sfacciata sfarzosità, meschino paravento che nasconde solo miseria e incapacità gestionale da terzo mondo.
Ah, a proposito a me è capitato anni fa di andare in un ospedale del terzo mondo e posso assicurare che ciò che ho ricevuto era un trattamento a 5 stelle e non solo perché ero una occidentale che pagava in dollari….
La rabbia che provavo fino a qualche ora fa si sta trasformando in un profondo senso di amarezza per la consapevolezza che nessuno sarà “punito” per quello che abbiamo passato, perché so che altre persone subiranno quello che noi abbiamo subito e non posso non provare compassione per le prossime vittime della mostruosa macchina sanitaria della Regione Lombardia tanto lodata e pubblicizzata dal nostro governatore.
Tiziana Peruzzi

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