La Berlino decadente di Lou Reed
Fu accolto male, ma avrebbe ispirato molti nei decenni successivi

Transformer era andato bene ma francamente, visti i suoi trascorsi, era difficile pensare ad un Lou Reed che continuava con i “du-dudu-dudu” (per quanto piacevoli). E difatti ti esce con un disco spiazzante, vicino a certe cose dei suoi Velvet ma ancora più estremo. Di fatto un concept album, se non addirittura una rock opera, narra la tragica vicenda di due tossici americani nella decadente Berlino, che anni dopo diventerà uno dei centri più fertili per il rock. Disco assolutamente cupo, risentito oggi è senz’altro il progenitore di tutta quella musica dark che si sarebbe sentita per decenni, ma allora non c’era stato ancora nulla e realizzarlo non fu facile, anche perché all’inizio doveva essere doppio: non solo i discografici non glielo permisero, ma dovette impegnarsi a realizzare poi un album leggero (Sally can’t dance) ed un live molto rock. Vendette poco e non piacque molto alla critica USA: andò un po’ meglio in Europa dove forse c’era più disponibilità ad accettare queste sperimentazioni artistiche. Se non lo conoscete l’ascolto non è dei più semplici, ma considerate che sono in molti a considerarlo il capolavoro di Lou Reed.
Curiosità: la stroncatura di Rolling Stone è forse la più violenta che abbia mai letto: “Berlin è un disastro … Ci sono dischi che ti inducono a desiderare di prenderti una vendetta fisica sull’artista… L’ultimo lampo di quella che sembrava una promettente carriera… Goodbye Lou”. Anni dopo la stessa rivista lo inserì tra i migliori 500 dischi del rock di sempre.
La Rubrica 50 anni fa la musica
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