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Donna senza paura

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Donna senza paura
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10 Gennaio 2016

La prima donna che corse in una maratona fu Katherine Switzer a Boston nel 1967, lo fece ricorrendo ad uno stratagemma perché era proibito alle donne correre una maratona. La ragione di questo assurdo divieto era che, secondo i medici, l’utero non avrebbe retto la fatica prolungata di una maratona e sarebbe “caduto”. Ci volle il coraggio di questa donna ed il conseguente movimento d’opinione perché nel 1972 la maratona venisse aperta alle donne. Questo dimostra quanto recentissimo sia, anche in occidente, un grado di consapevolezza femminile tale da riuscire a lottare per abbattere questo tipo di strumentalizzazione del corpo femminile.
La libertà femminile in occidente si è giocata fortemente sulla richiesta di poter fare le stesse cose che erano permesse agli uomini. La sinistra militante in occidentale ha fatto proprio questo concetto deformandolo, appiattendo la differenza di genere, e di fatto perpetrando una omologazione della società. Questo femminismo militante non ha nei fatti tutelato il corpo delle donne, né le peculiarità femminile ma le ha nascoste prima innalzando a proprio idolo l’abbigliamento degli uomini; poi, preso atto del fatto che la donna rimane tale e bella anche indossando i pantaloni, ha cercato, in un femminismo che diviene odio di sé, un nuovo modo per mortificare e nascondere il corpo femminile. La soluzione ora, paradossalmente, sembra venire dall’islam con veli, indumenti e pratiche che mortificano il corpo delle donne. Quindi dopo aver distrutto ogni modello femminile presente in occidente, ed ogni storia di rivendicazione di libertà delle donne, nella più totale confusione e negazione etica il femminismo militante diventa il paladino dell’islam e ciò porta ad una distorsione del concetto di libertà che in qualche misura oggi mostra la propria fragilità. Prova ne è la difficoltà a condannare con decisione le violenze avvenute a Colonia nella notte tra il 31 dicembre ed il primo gennaio. Così come più in generale gli abusi compiuti in molti luoghi del mondo dall’islam.
Questa difficoltà si avverte in particolar modo in tutta la cosiddetta area progressista, che stenta a condannare qualunque forma di terrorismo, perché quanto è avvenuto a Colonia ed in almeno altre tre città tedesche ha la sostanza dell’attentato terroristico.
Sembra abbastanza evidente che si sia trattato di un’azione organizzata e strutturata compiuta per terrorizzare la popolazione, giocata con cinica crudeltà sul corpo delle donne.
Difendersi dal terrorismo significa anche difendere la libertà di essere del corpo femminile.
Vero che a compiere i gesti criminali sono individui e non categorie, ma è anche vero che nel momento in cui ci si misura con azioni compiute da gruppi omogenei e si ha la voglia di conoscere ed indagarne le basi su cui questi comportamenti poggiano, può essere utile evidenziare quanto scritto nella Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani e porla a confronto con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo così da poter dare a questo particolare fenomeno una lettura maggiormente aderente alla realtà.
La violenza sulle donne non è un’esclusiva del mondo islamico ma questo non significa che nel momento in cui si manifesta, non solo l’azione ma anche la legittimazione da parte islamica, così come è avvenuta attraverso una sostanziale assenza di condanna unanime nei confronti di ogni attentato terroristico, non sia necessario riconoscere il fatto che l’azione violenta non è più elemento individuale ma culturale, collettivamente legittimato. A questo proposito trovo interessante quanto scrive Allison Pearson su The Telegraph riportando le parole di un portavoce libico che, commentando uno stupro avvenuto a Cambridge nel 2014, dice che gli stupratori, cadetti libici, non erano consapevoli che in Inghilterra fosse un reato violentare donne, secondo questo portavoce si è trattato di un “fraintendimento culturale”. Nel caso di Colonia non si è certo trattato di un “fraintendimento” ma dell’uso di un’azione violenta e terrorizzante volta a dichiarare la volontà di sottomettere l’occidente partendo dalla sottomissione delle donne occidentali.
Ritengo che sia nostro preciso dovere affermare con forza che per noi questo non è ammissibile, in nessun caso, in nessun luogo, in nessun modo. Non solo perché il rapporto sessuale deve essere consensuale ed anche solo un “no” sussurrato o una reticenza minima deve portare l’altro a fermarsi, ma anche perché nella nostra società le donne si vestono come vogliono e, se questo causa rabbia o frustrazione nell’uomo islamico che vive una sessualità repressa e violenta, il problema non è della donna ma appunto dell’uomo che non deve sentirsi autorizzato ad usare violenza.
L’incertezza nella condanna, il fatto di anteporre la paura di essere considerati islamofobi o razzisti ad una presa di posizione dura e radicale, può solo indurre questi terroristi a pensare di potersi porre nell’ambiguità di un ipotetico “fraintendimenti culturale” per distruggere la società occidentale proprio partendo dalla soppressione della libertà femminile. Le parole del sindaco di Colonia vanno esattamente in questo senso, accusano le donne e legittimano i terroristi violenti, questo è inaccettabile!
Perché non accada mai più è necessario rispondere in maniera forte ed univoca, con una condanna risoluta e senza appello. Con l’espulsione immediata di tutti i responsabili di questi gesti, ma anche di quanti in maniera più o meno esplicita li appoggiano.
Katherine Switzer corse la maratona dopo essersi allenata con suo padre, fu lui a trasmetterle l’amore per la corsa e per quel tipo particolare di impegno fisico che la maratona o l’ultra maratona comportano. Ciò che trasforma questa libertà rendendola propriamente femminile e come tale possibile anche per altre, è il fatto di agirla, viverla, abitarla. Ciò che mi rende libera è la libertà con cui abito il mio corpo, il fatto che mi muovo, mi vesto, parlo, agisco partendo da me, per me, assumendo me stessa come misura unica.
Ciò che sta accadendo oggi è che molte, non avendo ancora conosciuto una libertà autentica e personale, confondano le proprie opportunità di scelta con l’assenza di opportunità e in uno strano meccanismo emulativo decidono di azzerare la sfida. Se io mi scopro o mi copro solo in funzione di ciò che credo possa piacere o interessare all’altro significa che non c’è differenza tra minigonna o burca: non sto esprimendo la mia libertà ma quello che l’altro vuole io sia. Le donne occidentali che scelgono di rispondere alla violenza degli uomini islamici sulla donna manifestando velate stanno rafforzano il senso degli uomini islamici di poter decidere come le donne devono essere, che la donna “giusta” che merita rispetto sia soltanto quella velata come la vogliono loro. Quelle che aderiranno a alla manifestazione World Hijab Day del primo febbraio stanno di fatto legittimando le violenze e gli stupri, a Colonia come altrove, stanno legittimando l’idea che la donna sia in funzione del uomo e quindi possa essere definita solo in quanto madre, sorella, moglie velata e conforme oppure altra e quindi prostituta, ma neanche prostituta pagata addirittura prostituta a disposizione, oggetto non soggetto. Quelle che aderiranno a quella manifestazione devono rendersi conto del fatto che stanno solidarizzando con il terrorismo. Le donne occidentali non possono lottare per le donne islamiche, non devono attribuire a queste modalità ed esigenze proprie. Se le donne islamiche desiderano in qualche modo emanciparsi devono farlo loro, partendo da sé stesse.
Ciò che le donne occidentali e molti uomini con loro, mostrano di non volere vedere è la posizione delle donne islamiche nei confronti delle pratiche violente dell’islam. Non possiamo nascondere il fatto che le donne islamiche spesso partecipano alle lapidazioni, alle violenze. Non possiamo fingere di non sapere che, per esempio, una donna islamica a cui è appena stato salvato il figlio da una gravissima malattia, da un’equipe medica israeliana, che gli avrebbe impedito di superare i tre anni di età, per ringraziare i medici che lo hanno salvato, dice loro che spera che quello stesso suo figlio una volta cresciuto si faccia saltare in aria per uccidere proprio quelli che lo hanno salvato.
Purtroppo l’islam è anche questo e tutte quelle e tutti quelli che si ostinano a non voler guardare, a pensare che sono buoni, che sono poveri, che sono una minoranza oppressa stanno semplicemente favorendo la presa di potere da parte dell’odio, della violenza e della morte.
Esiste un islam diverso? Credo e spero di sì, intravvedo qualcosa nell’Egitto di Al Sisi che fa autocritica, che s’impegna per ricostruire le chiese cristiane coopte distrutte dai fratelli mussulmani. So che esiste una tradizione mistica molto interessante, il sufismo, che però è stata quasi completamente azzerata oggi. Questa speranza nel fatto che esista un islam diverso o la consapevolezza che ci sono sicuramente singole persone che non aderiscono a questo schema così brutale non può esimerci dal condannare l’islam quando è violento, razzista, maschilista, omofobo, quando lo è in quanto tale, non per caso!
Non si tratta di demonizzare ma di avere il senso di chi si vuole essere, che tipo di società si vuole costruire per le generazioni future. Avere la consapevolezza della propria storia, sapendo che si può ambire ad essere una società che esige da sé standard etici più alti e pretendere che questi siano condivisi e rispettati da chi sceglie di abitare in mezzo a noi.
Forse sarebbe tempo che i cosiddetti progressisti che hanno fatto dell’inno alla laicità dello stato la propria ragione d’essere, che hanno fatto dello spauracchio delle religioni (tutte tranne l’islam) il proprio slogan, che hanno preso la teoria della relatività e l’hanno adattata a sé per legittimare il disimpegno e l’assenza di responsabilità personale, che si credono i veri ed autentici antifascisti perché legittimano qualunque azione compiuta dall’islam, si ricordassero tra l’altro che il fascismo italiano così come il nazismo tedesco erano alleati di questo stesso islam e ad esso si sono ispirati.
Gli islamici non sono una minoranza, non sono dei poveri selvaggi che vanno difesi, non sono le vittime dell’occidente. Gli islamici sono circa il 25% della popolazione mondiale, si avviano a superare i cristiani che sono circa il 31%. Controllano il luogo della terra nel quale è concentrata la maggiore quantità di petrolio e purtroppo tutto il mondo, soprattutto l’occidente, è lontanissimo dall’indipendenza energetica. Quindi è evidente che a poter esercitare un reale controllo sono gli islamici sugli occidentali e non viceversa!
Mi spiace dirlo ma credo sia ora che tutto l’occidente e soprattutto le donne occidentali abbandonino il modello Candy Candy (della crocerossina), utilizzato fino ad ora per relazionarsi con il mondo islamico, e si rendano conto che quelli che necessitano davvero di essere salvati, accuditi, protetti e rinforzati siamo proprio noi.
Io sogno un gigantesco reggiseno, sospeso sul cielo d’europa, in una coppa un orda di maschi sunniti infoiati, nell’altra coppa un orda di maschi sciiti altrettanto infoiati. Un mare di donne e uomini liberi sotto tende l’elastico di questo straordinario oggetto ed i sunniti vengono catapultati tra le braccia degli immam iraniani, gli sciiti nel cuore dell’area controllata dall’isis. Precipitano e vengono accolti dall’equivalente di sé che non li tollera e che immediatamente li definisce “infedeli” e li condanna a morte! Questo deve essere il desiderio delle donne libere del mondo. Nessuna paura nella condanna decisa. Nessun timore nel riordinare gli eventi e nel determinare e definire cosa sia da espungere definitivamente.
Preserviamo il nostro amore per la vita, coltiviamo il rispetto per il nostro corpo, rivendichiamo la libertà, se necessario, anche attraverso la limitazione della libertà di quanti cercano con il proprio odio e la propria frustrazione di farci credere che la vita non sia cosa da essere amata e vissuta.

Ariel Shimona Edith Besozzi

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