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Gli Italiani non sono stati clandestini?

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22 Maggio 2014

Gentile direttore,
spiace vedere persone laureate, professionisti affermati, cattolici praticanti ecc. parlare, anche sul
suo giornale, dell’emergenza immigrazione come di un fenomeno riconducibile alla sola questione
della “clandestinità”. Scrive il signor M. Rezzonico (lettera 102) “Non condivido il paragone fatto
con l’immigrazione clandestina di oggi, … Non sono uguali le modalità, le epoche ed il bisogno di
manodopera …dei governi interessati nelle due migrazioni[quella italiana e quell’attuale]ed allora
ogni paragone e’ inutile. E allora perché mettere a raffronto le due immigrazioni? Solo per trovare
scusanti, giustificativi all’immigrazione clandestina?” Non so con chi ce l’abbia lo scrivente in
questione per ciò che riguarda me, anche nell’ultima mia lettera (n.99) a Varesenews, non ho fatto
paragoni, ma mi sono limitato a constatare solo la smemoratezza degli italiani “perché ignorano
o hanno subito dimenticato che gli italiani sono stati un popolo di emigranti.” Dire questo non
significa legare in nessun modo le due immigrazioni, quelle di ieri e quelle di oggi, né trovare
“scusanti, giustificativi all’immigrazione clandestina”, ma semplicemente richiamare i lettori ad
un minimo di comprensione e se vogliamo compassione per questa che è un’autentica tragedia
umanitaria che si sta abbattendo sulle nostre coste. E’ ovvio che “Non sono uguali le modalità,
le epoche ed il bisogno di manodopera nelle due immigrazioni.” Certo oggi l’immigrazione ha
protagonisti diversi per etnia, religione, cultura e luoghi di provenienza ecc. rispetto a quella
nostra. Gli immigrati sono dei diseredati che fuggono dalle loro misere terre. Si tratta di forme
d’immigrazione di gran lunga più complesse, rispetto a quelle di ieri, che le guerre, le dittature,
le siccità, la fame, l’apertura delle frontiere e il processo di globalizzazione dell’economia hanno
accelerato ed ingigantite e reso delle vere emergenze umanitarie.
Ma questi non sono altro che aspetti nuovi e formali che però non cambiano, per ciò che concerne
le immigrazioni, né le loro cause, né i problemi che esse pongono ai paesi di arrivo, né in definitiva
la sostanza del concetto di immigrazione, che da che mondo è mondo è e rimane, secondo la
definizione dei dizionari: “Il trasferimento permanente o temporaneo di singoli o di gruppi di
persone in un paese o luogo diverso da quello di origine; ed è uno dei fenomeni sociali mondiali
più problematici e controversi, dal punto di vista delle cause e delle conseguenze. I problemi che
essi pongono riguardano la regolamentazione ed il controllo dei flussi migratori in ingresso e della
permanenza degli immigrati.” Ma è poi vero che non si possono fare confronti? Le questioni che
riporteremo qui di seguito ci dicono che a fare confronti si trovano più analogie che differenze tra le
due immigrazioni. Il titolo della lettera del signor Rezzonico recita “Immigrazioni e immigrazioni”,
quasi a voler dire che ci sono immigrazioni e immigrazioni, volendo con questo distinguere una
“immigrazione clandestina”, quella odierna, come la chiama lui, da una regolare e alla luce del
sole, quella forse nostra? Come si fa a ignorare che anche quella degli italiani era un’immigrazione
clandestina? Anche gli Italiani sono stati dei clandestini. Negare questo significa alimentare
la favoletta che ci vuole “poveri ma belli,” non emigranti, ma «trasmigratori», come voleva il
neologismo coniato dal Duce; e sempre “migliori degli immigrati di oggi.”
Consiglierei a chi la pensa così di andare a vedersi il bel film “Pane e cioccolata”, con il clandestino
Manfredi in Svizzera, e soprattutto di leggersi il documentato libro di Gian Antonio Stella: “L’orda.
Quando gli albanesi eravamo noi”. L’autore dedica la sua opera a suo nonno “Toni Cajo/ che
mangiò pane e disprezzo/ in Prussia e Ungheria/ e sarebbe schifato degli smemorati/ che sputano
oggi su quelli come lui.” L’ opera di Stella è attualissima e demolisce i falsi miti, urla contro «il
fetore insopportabile di xenofobia che monta in una società che ha rimosso parte del suo passato».
Ce l’ha con quelli che amano ricordare che nostri immigrati di ieri erano solo gli “italiani brava
gente” e che si ricordano solo di quelli che ci hanno dato lustro: i Cuomo, gli Jacocca, i La Guardia.
I tanti che si sono fatti onore, ma gli altri li hanno rimossi perché era la “feccia”, come dicevano
di noi, di cui nessuno ama parlare. “Gli immigrati che sbarcano”- dicono i benpensanti italiani –
“sono clandestini, noi no, non lo siamo mai stati!” “Balle”- dice Luca Mencacci, recensendo il libro
di Stella – di cui qui di seguito riporto alcuni passaggi che l’autore affronta nel libro. “Lo siamo
stati anche noi clandestini: in numero tale che i consolati dei paesi confinanti incessantemente ci
raccomandavano di pattugliare meglio i valichi alpini e le coste per monitorare le partenze dei nostri
avi. Ed i nostri passeur sulle Alpi avevano la tradizione di sbattere giù dai burroni i connazionali
che, dietro lauto pagamento anticipato, avrebbero dovuto guidare all’estero. Esattamente come
gli scafisti magrebini oggi. Non si deve nemmeno pensare che i fatti risalgano esclusivamente
all’inizio del secolo; nel dopoguerra passavano clandestinamente la frontiera del Col di Tenda quasi
cento italiani al giorno. Al punto che i francesi furono costretti ad allestire a Mentone un centro
di accoglienza, la cui descrizione allora riportata dal Nice Matin fa apparire gli attuali centri degli
alberghi di lusso. Chiaramente le organizzazioni malavitose che gestivano questo traffico non
potevano che essere italiane. Non sbarcavamo sulle spiagge altrui con le carrette della mafia? Falso,
spudorato falso. A decine di migliaia arrivavamo sulle coste dal Maine, in Usa, servizio completo,
contratto di matrimonio incluso, con una prostituta negra.
Non mendicavamo? Altra bugia. I bambini costretti a chiedere la carità a New York erano migliaia,
e la Mala li marchiava all’orecchio perché non scappassero. Non c’è stereotipo rinfacciato agli
immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo fa od anche solo pochi anni fa, a
noi stessi da coloro i quali si consideravano gli altri, le nazioni ospitanti, le popolazioni dove
emigravamo. Accusiamo gli immigrati di essere disposti ad accalcarsi in osceni tuguri in condizioni
igieniche rivoltanti? L’abbiamo fatto anche noi, al punto che, a New York, il prete irlandese
Bernard Lynch teorizzava che “gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro
popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi”. Erano additati come dei barbari ed incivili per le loro
abitudini. Ecco come ci chiamavano secondo il piccolo dizionario dei nomignoli sugli italiani,
Babis: rospi (Francia), Blakdago: accoltellatore nero, dalla parola "Dagger", stiletto (Louisiana),
Cingali : dal grido "Cinq!" della morra (Svizzera tedesca), Ding : suonatore di campanello,
termine simile a "Dingo", cane selvatico (Australia), Guinea: africani, simili ai negri (Alabama),
Katzelmacher : fabbrica-cucchiaini, ma anche fabbrica-gatti, cioè gente che figlia come i gatti
(Austria e Germania), Mafia-mann: mafioso (Germania),Tano: abbreviativo di napoletano.”
Oggi la propaganda xenofoba alimenta la diceria che l’Italia sia invasa dagli immigrati più di
ogni altro Paese d’Europa, ma è così? Come stanno veramente le cose? Secondo un confronto
tra dati ancora disomogenei, realizzati nel 2013, risulta che i primi cinque paesi di immigrazione
europei sono la Germania con 9.845.244; il Regno Unito con 7.824.131; la Francia con 7.196.481;
la Spagna con 6. 234. 283; al quinto posto l’Italia con 5.721.457 (9,4% di stranieri sull’intera
popolazione di circa sessanta milioni). Senza questi milioni di immigrati, l’economia europea
verserebbe in una grave crisi, peggiore dell’attuale e non potrebbe mantenere i livelli di vita
raggiunti. Il dramma dell’immigrazione è un fenomeno complesso e di vaste proporzioni e non
potrà essere arrestato né con mitragliamenti in mare, né con reti anche se altissime sulle coste ecc.
Il fenomeno con il processo di globalizzazione è destinato ad aggravarsi ulteriormente ed assumerà
con il tempo proporzioni di esodo biblico, cosa già prevista del resto con lucidità dalla filosofa
Hannah Arendt che profetizzò che la fine del nostro secolo sarebbe stata contrassegnata dalla
massiccia presenza di profughi, fuggitivi, gente privata di tutti i suoi diritti e costretta a cercarli
lontano dalla propria patria. Alcuni giorni fa avevo scritto che “l’Italia è, per quelli che partono
dalle coste dell’ Africa, la “prima tappa” verso i paesi del Nord Europa. Il nostro Paese non li potrà
accogliere tutti né potrà essere lasciato solo di fronte a questa emergenza immigrazione. Quindi
l’Europa dovrà farsi carico di questo problema perché gli sbarchi e i drammi continueranno.”
Infatti è di oggi un nuovo sbarco di migranti. Sono state soccorse oltre 1.500 persone tra cui molte
donne e tanti bambini!Ieri il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha rivolto un monito all’Europa sul tema dell’immigrazione. "Se l’Europa vuole presentarsi come ‘casa comune’, e non un insieme di interessi dove chi è più forte prevale, non può tirarsi indietro e guardare infastidita". "Sotto i nostri sguardi – ha aggiunto l’Arcivescovo di Genova – si consuma l’esodo di popoli che guardano a noi come alla terra promessa: pur di giungervi, non esitano a mettersi nelle mani di mercanti di morte". Bagnasco ha poi ricordato come non può bastare "l’indignazione occasionale", ma servono gesti concreti, come quelli delle "tante realtà diocesane, cresciute negli anni, impegnate
quotidianamente sul fronte dell’accoglienza, dell’assistenza, della tutela dei cittadini stranieri, della loro dignità e sicurezza". Le solidarietà cattoliche e quelle di tante Onlus laiche ricordano a
tutti noi che esse sono le vere eredi civili della nobile tradizione greca che sin dai tempi di Omero
contraddistingueva, per ciò che concerneva l’ospitalità e l’accoglienza dell’altro, l’uomo dal subumano Poliremo, che mangiava i marinai che naufragavano davanti alla sua caverna.
“Per questo”- ci ricorda il filosofo Savater:“l’obbligo di dare asilo è una delle poche tradizioni che possiamo qualificare, senza discutere, come realmente civili. Ma l’unico limite di quest’obbligo di civiltà è la prudenza necessaria a organizzare e incanalare questa accoglienza, al fine di renderla compatibile con le risorse sociali di ogni paese.” L’ho già scritto ma lo voglio ripetere ancora. Certol’Europa non potrà accogliere tutti i diseredati che si riverseranno sul suo territorio. Bisognerà pertanto elaborare una politica comune europea di prevenzione e di regolamentazione dei flussi di arrivi, intervenendo nei paesi di imbarco e regolando in loco le pratiche dei rifugiati, richiedenti asilo per motivi di guerra e/o politici, come del resto prevede la nostra Costituzione. Nel salutarla cordialmente, gentile direttore, mi scuso con lei e con eventuali lettori per la lunghezza dellalettera. Com’è noto:“Tutte le cose sono state dette”- dice A. Gide – “ma poiché la gente non ascolta siamo costretti a ricominciare”.

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