Gli italiani soffrono di SIG, la sindrome di imbecillità generalizzata
9 Giugno 2013
Egregio direttore,
Ponendosi dal punto di vista della filosofia politica, ci si può domandare se il popolo in quanto tale sia imbecille (si veda la teoria delle élite) oppure se sia tale quando viene ridotto a corpo elettorale (si vedano Rousseau e i teorici della democrazia diretta, fra cui rientra anche Lenin). Una possibile risposta a questo quesito, la cui attualità non è più venuta meno dopo che nei “trenta gloriosi” del secolo scorso (1945-1975) era rifulsa l’intelligenza del popolo perfino in un paese come l’Italia in cui lo scambio tra la furbizia e l’intelligenza è sempre stato la norma, riconduce il fenomeno dell’imbecillità alla generalizzazione della forma-merce, cui si deve l’espunzione della verità dalle relazioni sociali. Quella verità che è inscindibile da un progetto di costruzione politica della nozione di popolo e da un intervento dei gruppi intellettuali in questo senso, mancando i quali (progetto e intervento) le masse popolari italiane sono destinate a restare politicamente mute e a diventare facili prede del populismo, del berlusconismo, del leghismo e del razzismo, ossia delle superfetazioni di un micidiale processo di espropriazione politica e di deprivazione culturale.
La stessa trasformazione del comunismo italiano in una sorta di ‘azionismo di massa’ ha finito con il mutare radicalmente sia il codice comunicativo che il significato del concetto gramsciano di egemonia. Un simile azionismo, la cui formula paradigmatica è quella esemplificata dal verbo di Scalfari (a sinistra nel costume, al centro in politica e a destra in economia), ha perciò funzionato come moltiplicatore di quell’occidentalismo di massa che ha caratterizzato l’ultimo ventennio all’insegna di un antiberlusconismo moralistico ed estetizzante e di un largo sostegno alle più infami e sanguinose aggressioni imperialistiche, sempre spacciate come “missioni umanitarie in difesa dei diritti umani”. Questa tragedia è tuttavia rimasta inintelligibile, nella opacità ideologica e nella “banalità del male” che l’hanno contraddistinta, perfino alle sue vittime, oggetto di una cretinizzazione scientificamente pianificata dall’alto, cui era praticamente impossibile resistere.
Sennonché l’azionismo di massa che si è imposto progressivamente in Italia, fino ad essere, come è oggi, dominante, non è altro che la versione italiana di un fenomeno soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile e Russia continuano a essere Stati sovrani, il cui territorio non è occupato da basi militari Usa dotate di armamenti atomici. È così accaduto che un popolo privato di ogni profilo culturale autonomo è diventato preda di un processo che si può definire schematicamente come ‘sindrome di imbecillità generalizzata’ (SIG). Tale sindrome si manifesta quando vengono meno gli approcci di carattere dialettico alla comprensione sociale, e colpisce tutti gli ambiti, sia a livello verticale che a livello orizzontale, sia a destra che a sinistra, configurandosi ovviamente in forme differenti. A destra la SIG assume le consuete forme paranoiche, poiché la paranoia è una malattia tipica della destra, mentre la schizofrenia è una malattia soprattutto di sinistra. Accusare i miti e moderati consiglieri comunali del Pd varesino di essere i comunisti di sempre perché hanno avuto la ‘strana’ idea di presentare una mozione in cui si chiede la revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini è un chiaro indice di paranoia, così come, su tutt’altra scala e con esiti nefasti, è un indice inequivocabile di paranoia l’uccisione a freddo di due senegalesi a Firenze da parte di un allucinato militante della destra neo-fascista. Fenomeni consimili sono, con tutta evidenza, il frutto amaro di una perdita totale di comprensione del mondo, in cui la paranoia prende il sopravvento, deformando e sfigurando in senso onirico la realtà esistente. A sinistra (laddove con questo termine ci si riferisce a ciò che si dichiara e viene percepito socialmente come ‘di sinistra’), la SIG si manifesta invece nella forma della schizofrenia (per una versione cólta di questa patologia si veda in questa stessa rubrica la lettera n. 43, dove si sostiene la tesi alquanto bizzarra secondo cui la sconfitta politica del Pd è stata la conseguenza di errori comunicativi e narratologici).
Al fondo di questa “fenomenologia dello spirito contemporaneo”, quali che siano le forme che esso assume (da quelle più volgari a quelle più pretenziose), resta, ad ogni modo, il problema della opacità sociale, ossia di un sistema del quale si è completamente perduta la chiave d’interpretazione. Vi è perfino chi si rallegra di questa condizione di “amnesia sociale” (si veda su questo tema il bel saggio di Russell Jacoby), poiché, come affermano gli intellettuali post-moderni alla Umberto Eco, bisogna abituarsi a vivere gaiamente rinunciando a qualsiasi chiave di lettura. Ma le grandi masse popolari, alle prese quotidianamente con i duri e vitali problemi della crisi economica e sociale, non possono vivere a lungo senza alcuna chiave interpretativa del sistema esistente se non pagando il prezzo della SIG. Un sistema, la globalizzazione imperialista, che definire nazista è perfino poco, come giustamente sosteneva con eccezionale lungimiranza Edoardo Sanguineti, che non era un intellettuale pagliaccio di regime, ma un intellettuale marxista organico al proletariato. Un sistema fondato sulla generalizzazione del lavoro flessibile, precario e temporaneo, sulla fine di ogni democrazia, di ogni conflitto sociale e di ogni sovranità nazionale, sull’arbitrio assoluto di un interventismo imperialistico attuato in nome di generici ‘diritti umani’. In un simile contesto la SIG, non essendo altro che il riflesso dell’opacità dei meccanismi sociali, è destinata a perdurare fin quando una interpretazione critica dell’origine e della natura dei processi che si stanno svolgendo non dissolverà i fantasmi paranoici e schizofrenici, “ritornando alle cose stesse” e individuando le molteplici contraddizioni che sono immanenti al loro corso.
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