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Per Dafna Meir

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21 Gennaio 2016

Non voglio più avvertire la sensazione di soffocamento che ha reso una corsa di otto chilometri uno strazio, una sfida protratta di metro in metro attraverso una battaglia intensa tra me e me. Non riuscire a gestire il respiro, per la prima volta nella mia vita: la concentrazione, il paesaggio, il ritmo delle mie gambe non sono riusciti a restituirmi il respiro. Il fiato è rimasto alto nel petto, il dolore intenso. Avevo paura che il cuore scoppiasse. Ho continuato a correre perché sapevo che la mia paura era priva di fondamento. So di essere in perfetta salute, so che il mio cuore è perfettamente in grado di adattarsi alla fatica. Eppure ogni metro è stato una conquista. Sono riuscita a procedere soltanto dandomi progressivamente mete vicine “arrivo fin là, poi nel caso mi fermo o cammino” e poi ancora “ce la faccio, allora provo ad andare ancora un poco oltre” e poi “sto soffocando, ma sono certa di poter arrivare almeno un altro poco in la”… così facendo sono riuscita a compiere quegli otto chilometri. Mi sto impegnando a conoscere il mio pensiero per cercare di indirizzarlo. Avviene nella preghiera che mi libera e mi restituisce il senso, proprio nella misura in cui mi insegna ad assentarmi da me stessa per ritrovare, dentro le parole antiche e ripetute, in un dialogo incessante, la mia anima.
Cerco di tradurre quel modo di conoscermi e conoscere D-o nel mio sguardo sul mondo, e giorno dopo giorno scopro dentro di me una gioia infinita e potente che mi colma. Sono profondamente grata per ogni singolo istante, parola, incontro, condivisione…
Nella gratitudine e nell’amore a tratti entra il dolore, un dolore che non mi consento di scansare, dal quale mi lascio abitare, un dolore che conosco e riconosco. Lo aiuto a trasformarsi in rabbia e cerco di condurlo ad un’azione. L’azione, nella maggior parte dei casi è parola, scrittura. Perché la rabbia si trasformi e mi lasci respirare devo dire. Dire che, nonostante la mia vita sia bellissima, nonostante io sia una donna ricca d’amore e di relazioni intense ed interessanti, nonostante sia capace di godere della buona compagnia, della cucina, del vino, altrettanto voglio esprimere la mia condanna nei confronti di chi commette azioni terroristiche efferate, ma, soprattutto, nei confronti di quanti tacendo ne invitano la ripetizione, permettendo un crescendo di crudeltà e di atrocità.
In meno di 24 ore si sono consumati due attentati efferati in Israele. Nel primo una madre è stata assassinata in casa di fronte ai propri figli; nel secondo una donna incinta, di nuovo una madre, è stata aggredita da un giovane uomo a cui stava offrendo il proprio aiuto pensandolo in difficoltà. Non posso fare a meno di tracciare un filo, e chiedere che venga interpretata la relazione profonda e agghiacciante tra le violenze compiute nei confronti delle donne in europa a Colonia ed in altri luoghi che è diventata omicidio di madri in Israele. Ogni persona verso la quale viene compiuta una violenza è una vittima che merita la mia attenzione e la mia partecipazione empatica alla sua sofferenza come a quella di quanti la circondano. Le azioni compiute a Colonia e non solo, pochi giorni fa, sono state l’evidente tentativo di sottomettere non solo la donna occidentale ma, attraverso questa, la cultura occidentale; assassinare una madre e tentare di assassinare una donna incinta in Israele da parte di giovani palestinesi è il chiaro tentativo di violare l’anima profonda d’Israele e dell’ebraismo che è, esiste, si perpetua attraverso la madre.
Il mio dolore di ebrea e donna è intenso perché qualcosa di simbolicamente atroce si sta permettendo e proprio quelle che dovrebbero riconoscere nella genealogia femminile la propria essenza, non solo tacciono di fronte ai continui attentati che i cosiddetti palestinesi compiono ogni giorno nei confronti del mio popolo in Israele e non solo, ma ancora più gravemente tacciono di fronte al tentativo palese di cancellare l’ordine simbolico della madre, là dove è natura di un popolo e di una storia radicata nei millenni: Israele.
Le donne occidentali, le femministe, le pensatrici del pensiero della differenza dove sono? Cosa stanno facendo? Perchè si rendono oggettivamente complici di questo terrorismo, che diventa di volta in volta più pesantemente consapevole della forza che proprio la complicità di queste e di tutto l’occidente sta offrendogli?
Nelle ore in cui si compiva l’atroce omicidio, Bergoglio era in visita alla Sinagoga di Roma. Tre rappresentati della comunità ebraica italiana hanno rivolto a lui ed a tutto il pubblico presente e collegato per televisione, parole chiare. La comunità ebraica ha scelto di dire con chiarezza, lucidità e cortesia la gravità della situazione in cui versano gli ebrei nel mondo ed in Israele, ha scelto di richiamare ogni essere umano alla propria responsabilità di cercare di lasciare un mondo migliore alle generazioni successive. Ho ascoltato ognuno dei discorsi con piacere e profondo orgoglio. Non è semplice riuscire a dire alcune cose sapendo che il nostro ospite/interlocutore, e con lui molta parte della società, non vogliono sentirsi chiamati a prendere una posizione, a combattere contro il terrorismo. Non si tratta dei cattolici, non voglio facili generalizzazioni, ci sono moltissimi cattolici che prendono posizioni contro il terrorismo, che non hanno paura di dire. Si tratta di qualcosa che attiene l’essere umano in generale che preferisce non guardare, non sapere, non reagire… fin quando non è troppo tardi. Certo che quando l’assenza di condanna avviene proprio dal capo di uno stato, dal leader di una religione, allora questo silenzio si fa davvero violento, molto più di mille parole. Perchè Bergolio non ha avuto il coraggio di condannare gli attentati terroristici che stanno colpendo gli ebrei in Israele e nel mondo? Se questo avviene, senza sollevare stupore o critica, allora è proprio il caso che questa società si curi, occorre che questa società esca dalla banalità di un buonismo di maniera, che affronti la necessità di un pacifismo capace di prendere le armi per difendere la pace. Occorre che ogni essere umano faccia lo sforzo di uscire da sé stesso ed impari a pensarsi fuori dall’immanenza, è necessario che ognuno di noi impari che fare, non fare, dire, non dire ha conseguenze potenti che ci trascendono.
Nel momento in cui il terrorismo in europa colpisce le donne ed in Israele colpisce le madri non possiamo stare in silenzio, dobbiamo combattere con tutta la forza che abbiamo, con tutte le armi che abbiamo, con tutta la gioia e l’amore!
Non è bello combattere ma quando diventa vitale ci domanda di guardare la nostra paura, riconoscerla e decidere di superarla facendo appello al coraggio.
Ciò che manca oggi è l’idea che il coraggio, quello vero, è un valore.
Abbiamo dimenticato che per conoscere la gioia è necessario affrontare le nostre paure. Se affrontiamo le nostre paure, la nostra ostinazione ad un egoismo paralizzante che non è mai solidale, neppure con noi stessi, possiamo compiere il coraggioso gesto di scegliere come vogliamo vivere, con chi vogliamo vivere attraverso regole chiare e condivise. Ma soprattutto possiamo decidere di crescere come società attraverso valori profondi e condivisi, primo tra tutti il valore della vita. La vita è un dono ed una scelta che domanda d’essere compiuta ogni giorno, in particolare quando abita una donna che con forza ed ostinazione sceglie di portarla al mondo, di donarla al mondo.
Scegliere di uccidere un altro essere umano, di uccidere una madre di fronte ai suoi figli, scegliere di accoltellare una donna incinta con il chiaro intento di togliere due vite con un unico gesto non è una scelta coraggiosa. E’ la scelta compiuta da un essere, che non è più umano, è una scelta così atroce da essere idiota, è una scelta così personale da pretendere d’essere condannata, senza riserva, assolutamente!
Non voglio una società di persone ignobili che credono di poterci uccidere, violentare, sottomettere, che si uccidono pur di poterlo fare, senza alcun rispetto per il dono più prezioso: la vita! Non voglio una società di persone che tacciono di fronte a questo, che legittimano questi gesti!
Voglio vivere, vogliamo vivere. Nella pienezza della responsabilità della nostra vita, con gioia, con leggerezza, con forza, con intensità, per questo combatteremo la morte, senza paura, sempre con la vita.

Ariel Shimona Edith Besozzi

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