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PESACH: COME UN POPOLO IMPARA AD AUTODETERMINARSI

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PESACH: COME UN POPOLO IMPARA AD AUTODETERMINARSI
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11 Aprile 2016

Nel Midrash è raccontato che, il padre di Mosè (non ancora nato), a seguito del decreto di morte rivolto a tutti i bambini maschi promulgato dal faraone contro i bambini ebrei, divorziò dalla moglie ed in questa sua scelta venne seguito da tutti gli uomini ebrei. Non credo sia difficile immaginare che cosa possa aver portato questi uomini a compiere una scelta così definitiva. Il popolo ebraico sta vivendo una condizione di schiavitù pesantissima, sempre più opprimente e feroce. Certamente risulta difficile ribellarsi quando il livello di prostrazione è così elevato, sembra essere possibile invece rinunciare, rinunciare a procreare, rinunciare a dare continuità al proprio popolo piuttosto che vederlo oppresso e tiranneggiato.
Il popolo ebraico sembra essere ad un passo dall’estinzione. Il gesto autenticamente rivoluzionario che sovvertirà questo decreto di morte viene dalla giovane Miryam, sorella di Mosè, sarà lei che prenderà il coraggio di difendere il diritto alla nascita delle figlie femmine, se non si riescono a salvare i maschi dal faraone, sarà lei con le sue parole a restituire forza ed identità a suo padre che risposerà la moglie rendendo possibile la nascita di Mosè e di molte altre figlie e figli nella altre famiglie che si ricomporranno di conseguenza.
Sappiamo che Mosè condurrà il popolo ebraico fuori dalla schiavitù egiziana, sappiamo che per fare questo sarà assistito dal fratello Aronne e dalla sorella Miryam, sappiamo che la nascita e l’impresa di questo grandissimo uomo sono legate strettamente alle azioni compiute da molte e molti, sappiamo che la sua maturazione, il suo sviluppo e la sua saggezza sono nutrite, non solo dall’incontro con D-o ma anche dall’incontro con gli altri e con sé stesso. Mosè è straordinario anche perché profondamente umano ed in grado di riconoscere i propri limiti e fare del suo essere parte di un popolo di una storia di una tradizione, il senso della sua missione.
Quello che ci viene insegnato attraverso la narrazione dell’uscita dall’Egitto è che, l’uscita dalla schiavitù, è qualcosa che non si compie una volta per sempre, è qualcosa che ha a che fare con la capacità di tenere viva la memoria di questo evento. Mai il popolo ebraico, per secoli ha scordato di ricordare questo episodio anelando il ritorno a Gerusalemme.
Tutte le generazioni, di tutte le genti, hanno la propria schiavitù da cui liberarsi, oggi la nostra schiavitù assume il carattere dell’indolenza e dell’irresponsabilità. Poiché la paura e l’incapacità di scegliere responsabilmente sono in grado di immobilizzarci, di renderci incapaci di agire a pieno la nostra umanità, rappresentando quindi una minaccia assai feroce alla nostra esistenza, ma soprattutto all’esistenza delle future generazioni, la schiavitù che ne deriva richiede l’utilizzo di tutte le nostre risorse per essere affrontata e vinta.
Le eroine e gli eroi, che, con il loro esempio, spingono il prossimo ad assumersi la propria responsabilità di individuo, possono essere persone che compiono gesti eclatanti ma molto più spesso sono persone “normali” che, messe a confronto con una scelta, sono in grado di opporsi alla massa, alla paura, al potere, al pregiudizio per compiere azioni radicali. Azioni radicali che producono una rivoluzione nella storia umana e lo fanno non solo con un effetto immediato ma anche e soprattutto trasformando il futuro, producendo effetti che possono rendersi visibile magari dopo una o più generazioni.
Per uscire da questa nuova forma di schiavitù, farebbe comodo un grande eroe che si oppone e che determina attraverso le proprie azioni eventi radicali, riportando i popoli d’Europa ad una fiera autodeterminazione. Questo però non necessariamente sarebbe in grado di determinare un reale cambiamento in grado di farci uscire dalla schiavitù, perché purtroppo, spesso, le azioni significative ed eroiche dei grandi personaggi hanno portato e portano le persone a delegare a queste figure la possibilità di riscatto.
Ognuno di noi può scegliere invece di essere eroe od eroina, poiché la storia ci insegna che gli effetti più profondi, sono stati prodotti, da quelle persone che non hanno fatto gesti eclatanti ma che hanno saputo agire secondo il proprio buon senso, anche in maniera silenziosa, così da costruire le condizioni perché avvenisse il cambiamento in profondità. Prova ne è il fatto che, per esempio ancora oggi, a distanza di anni, spesso dopo la loro morte, veniamo a sapere di persone che durante la Shoah hanno salvato la vita a qualcuno. Quanto significativo, profondo e radicale è stato quel gesto compiuto da una persona “comune” che ha saputo sceglie di non lasciarsi mortificare dal potere e dalla paura, che ha scelto di esporre la propria stessa vita a rischio per salvarne altre e lo ha fatto in maniera così profonda da restare a lungo sconosciuta?
Quello che oggi è necessario più che mai perché sia Pesach, perché sia possibile uscire dalla schiavitù, è che molte persone abbiano il desiderio ed il coraggio di opporsi alla nuova ondata di violenza che sta attraversando il mondo. Ci sono molti modi per opporsi e per scegliere la vita, quello che la Torah ci insegna è che gli eventi più radicali e sostanziali sono prodotti dal gesto altruistico, consapevole, rivoluzionario e deciso delle persone “ordinarie”.
Questa modalità, questa indicazione, necessita di un profondo equilibrio tra una individualità sviluppata e solida e la consapevolezza di appartenere ad una collettività che non può mai essere esclusa perché, la forza delle nostre azioni, avviene nella misura in cui ci sentiamo responsabili gli uni per gli altri. La costruzione di questo senso di interdipendenza ed interconnessione non ci impedisce di vedere l’altro da noi come simile a noi in quanto umano, ma anche altro da noi in quanto appartenete ad una storia, una cultura, una tradizione che possono essere anche radicalmente diverse dalla nostra. Nel momento in cui siamo capaci di riconoscere l’altro, senza perdere di vista il valore profondo della vita, possiamo scegliere di ribellarci al tentativo di soppressione o di conversione che l’altro desidera imporci. E lo facciamo restando fedeli alla nostra vita, alla nostra tradizione, alla nostra storia. Quello che ci insegna Miryam è che possiamo annullare un decreto di morte portando avanti la nostra vita, se siamo in grado di restare fedeli a noi stessi, alla nostra etica, ai nostri ideali.
Possiamo imparare ad opporci con forza e determinazione senza perdere di vista la nostra e l’altrui umanità, ciò che non possiamo fare, a mio avviso, è consentire che una cultura ed una tradizione di morte e di repressione prevalga.
Abbiamo gli strumenti per pretendere che venga posta una radicale opposizione al terrorismo, abbiamo gli strumenti per scegliere la libertà piuttosto che la sudditanza all’islam che sta comprando università, compagnie aeree, squadre di calcio e che, attraverso il peso della propria capacità d’acquisto, sta condizionando anche le nostre scelte di abbigliamento ed alimentari. Possiamo farlo nella misura in cui restiamo capaci di riconoscere che il Faraone, il dittatore, non sempre si configura come una persona, più spesso ha la struttura di un’ideologia, qualcosa che appassiona e coinvolge un numero di persone sostanziale che in nome di questa ideologia, in nome di questo idolo, pur di sottomettere tutto il mondo a questo idolo, non esita a uccidere ma neppure a blandire, persuadere, fingere una condizione di bisogno… Una ideologia che, nel momento in cui incontra identità deboli cerca di persuaderle della necessità di modificarsi.
C’è un solo modo per affrontare il potere quando si configura in questo modo ed è riconoscerlo ed opporre gesti di libertà. Israele ed i suoi amici e sostenitori suscitano sentimenti forti, feroci ed aggressivi proprio perché costituiscono questo gesto di libertà.
Israele non si è mai sottratta nei secoli della diaspora e non si sottrae ancora oggi che è ancora diaspora ma anche Terra, alla necessità di fare memoria di che cosa rappresenta fare Pesach.
Non è necessario essere ebrei per scegliere la libertà ma sicuramente è necessario riconoscere Israele, rispettare la sua peculiarità, come quella di tutti gli altri popoli e le altre nazioni per festeggiare la libertà sapendo di essere liberi. Ciò che aiuta a restare liberi è la scelta di non accettare di essere asserviti ad una “cultura” che del potere e della sudditanza fa la propria bandiera, che annulla le differenze, le azzera, perfino quelle che appartengono a lei stessa. Perché è questo che è l’islam: l’islam che si mostra che prevarica, che uccide, che brucia o sottrae le bandiere d’Israele, l’islam che blandisce attraverso una comunicazione subdola e spesso piena di menzogne, l’islam che si appropria di una storia che non è la sua, come accade quando viene “portato” come bandiera nelle piazze il 25 aprile, l’islam che fa leva sul senso di colpa occidentale generato da una narrazione ostinata e spesso inesatta di un controllo che nulla a più a che fare con la realtà attuale, l’islam che non condanna il terrorismo, che legittima messaggi nazisti.
Non considero l’islam il mio nemico, io voglio essere la nemica dell’islam che si manifesta in questo modo, voglio essere la sua nemica con la mia scelta di libertà. Voglio che, se esiste un islam diverso dall’islam violento ed aggressivo, gli divenga nemico e mio alleato, e scelga la libertà se la conosce ed è in grado di abitarla.
Voglio che nessuno, mai più, si permetta di pensare di potermi convertire. La conversione forzata che è stata agita nella storia e che ancora viene agita è la peggiore forma di idolatria ignorante. Soltanto un idolo può chiedere alle persone di annullare sé stesse la propria storia, la propria capacità di scelta, la propria tradizione, in funzione di una salvezza dell’anima che non incontra l’esistenza ma ad essa si sottrae.
Ciò che rende liberi e profondamente responsabili, ciò che apre alla possibilità del trascendente ma anche all’immanente nella sua pienezza, non chiede conversione o fedeltà a quanto detto da un essere umano. Nessuno può convincermi che l’idea di morire uccidendo altri esseri umani possa avere a che fare con D-o! Può avere a che fare soltanto con la miseria umana, quella stessa miseria umana che ha compiuto e permesso la Shoah! Per questo mi rifiuto di avere a che fare in qualunque modo con chi ha l’idea che io debba convertirmi a simili obbrobri.
Per questo scelgo ostinatamente di difendere il sionismo, il diritto del mio popolo ad autodeterminarsi.
Perché questa è una scelta di libertà. La libertà che è conquista quotidiana, mai data, mai definitiva; scelgo quella libertà che, per essere, domanda di essere vissuta e scelta in ogni singolo istante della vita da ogni singolo essere umano. Quella libertà che sa limitare sé stessa in funzione dell’essere in una collettività, ma che sa anche imporsi quando la collettività non riesce più a rispondere.

Ariel Shimona Edith Besozzi

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