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Sull’autonomia differenziata e riforme istituzionali varie

Sull’autonomia differenziata e riforme istituzionali varie
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30 Gennaio 2024

Egregio direttore,

Contrariamente al pensiero dominate e trasversale delle maggiori realtà politiche che hanno caratterizzato, e caratterizzano, la storia della Repubblica Italiana, personalmente ritengo che il federalismo doveva essere in effetti la destinazione naturale dell’Italia unita. Come infatti la Germania, il nostro Paese è stato “ritardatario” nel processo di Unità, ha vissuto un’esperienza plurisecolare diviso in tante realtà statuali locali che, se sostanzialmente non diverse dal punto di vista etnico e culturale, senza dubbio lo erano dal punto di vista politico, amministrativo, economico e sociale.

L’Italia appunto ha vissuto “divisa” dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente fino all’unità del 1861, mentre la Germania per tutta la storia del Sacro Romano Impero prima e della Confederazione Germanica dopo, storia persino aggravata dalla frattura religiosa creatasi tra un Nord protestante, facente capo sostanzialmente agli Hohenzollern di Prussia, ed un Sud cattolico, a sua volta facente capo agli Asburgo d’Austria.

Ma mentre appunto la Germania, grazia alla lungimiranza del Cancelliere Bismarck, uno dei più grandi statisti europei dell’era contemporanea, ha realizzato la propria unità nel 1870 sulla base di una struttura federale, certamente controbilanciata da un forte potere centrale con competenza sulle materie tipiche di uno stato centrale (esteri, difesa, politiche macroeconomiche e monetarie, ecc.), l’Italia sabauda nasceva con una sorta di processo di annessione al Regno di Sardegna di tutto il resto del paese, frutto dell’imposizione di un modello amministrativo centralista di matrice francese, dimenticandosi però che il processo di centralizzazione amministrativa nella Francia stessa è stato portato avanti in secoli di storia dalla monarchia, e poi sostanzialmente concluso dalla rivoluzione del 1789.

Per tornare ai giorni nostri e soprattutto al dibattito attuale sull’autonomia differenziata, bisognerebbe rammentare in primis che il cavallo di battaglia della Lega Lombarda/Nord agli esordi nella politica italiana, avvenuti nell’ormai remota seconda metà degli anni 80’, era il federalismo. Tale progetto, basato sulle tesi del professor Gianfranco Miglio, poi bistrattato e messo da parte anche dalla Lega stessa, e ispirato da quelle storiche di Carlo Cattaneo, da molti criminalizzato se non demonizzato, proponeva sostanzialmente una realtà di macro regioni, peraltro simile a proposte circolanti già alla vigilia dell’unità italiana: Nord, Centro e Sud. Tale proposta non era solo una assoluta novità in un panorama politico italiano ingessato e già necessitante di profonde riforme, stante anche i cambiamenti epocali in corso, ma anche soprattutto era una proposta a mio avviso ben strutturata e coordinata.

Il fatto è che successivamente la linea politica della Lega medesima, in una sorta di trend contraddittorio ed anche schizofrenico, è passata da obiettivi dapprima radicali, cioè la secessione, ad altri addirittura palesemente opposti, cioè un progetto identitario, sovranista, patriottico italiano, mentre il “focus” federalista finiva prima praticamente ai margini, per poi accontentarsi appunto di questa “autonomia differenziata”, sorretta dai referendum di Lombardia e Veneto del 2017.

Ora, per intenderci, non capisco tutti coloro che già si stracciano le vesti, paventando minacce all’unità nazionale ed all’aumento delle disuguaglianze tra parti del territorio nazionale, inventandosi addirittura patrioti, dal momento che questa “autonomia differenziata” consiste nel trasferimento di competenze, fino ad oggi di pertinenza statale, alle regioni che ne faranno esplicita richiesta, con conseguente trasferimento delle risorse economiche pari ai costi sostenuti per la gestione di tali servizi sul territorio in questione, non un euro in più, e forse in futuro qualcuno in meno. Pertanto il disavanzo fiscale e contributivo che la Lombardia e le altre regioni “ricche” hanno nei confronti dello Stato, che peraltro doveva servire anche a limitare almeno il gap tra le varie parti del territorio nazionale, ed invece non sembra essere servito a molto, rimarrà tale e quale. Il tutto poi nel perfetto rispetto del dettato costituzionale attuale.

Posso invece concordare parzialmente sul fatto che ci si possa trovare in una sorta di “Stato arlecchino”, cioè con 5 regioni a statuto speciale, 15 a statuto ordinario, all’interno delle quali certe materie/servizi da una parte sono di competenza dello Stato e dall’altra delle regioni stesse, con il rischio di peggiorare il peso burocratico, peraltro già consistente. Ma appunto questa articolazione disomogenea dell’amministrazione statale esiste già, con la presenza storica di regioni a statuto ordinario ed altre a statuto speciale.

Purtroppo quindi ho il timore che questa “autonomia differenziata”, insieme all’altro parallelo progetto di riforma definito “premierato forte”, finiscano per essere il solito “compromesso al ribasso” all’italiana, in considerazione del fatto che per quest’ultimo, se non sbaglio, si partiva da un progetto addirittura di presidenzialismo. Mentre invece, ritornando al modello tedesco citato all’inizio, delle riforme incisive, coraggiose e veramente innovative, avrebbero potuto prevedere un federalismo autentico alla tedesca, cioè con l’attribuzione alle regioni e gli enti locali nostrani delle competenze e risorse in carico ai lander ed ai comuni della RFT (e sfido chiunque a sostenere che la Germania è un paese disunito e/o inefficiente), con l’abolizione di quell’assurda realtà attuale rappresentata dalle province (dovevano essere eliminate, ma di fatto hanno eliminato il diritto di voto dei cittadini), accompagnato e controbilanciato da un semi-presidenzialismo alla francese, per garantire un forte potere centrale dove serve.

L’occasione è gradita per porgere i migliori saluti,
Giuliano Guerrieri

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