“Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”
26 Luglio 2005
Egregio direttore,
solo due allegre righe di doverosa risposta, perchè se ieri mi ero irritato, oggi inizio ad essere francamente divertito – mazzinianamente, “come un destrier che fiuta la pugna” – per gli argomenti, lo stile e il lessico di Eros Barone.
Davvero, mi sento un po’ come – nel “Nome della Rosa” – il laico ed empirista Guglielmo da Baskerville di fronte al rigorismo dottrinario di un Bernardo Gui ammantato in saio rosso.
Sommerso da un mare di “ipse dixit”, stento a riprendere fiato da questa lunga apnea nel verboso oceano di uno zdanovismo del terzo millennio. E, per riavermi, mi ripeto taumaturgicamente il celebre aforisma di Gertrude Stein: “Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”.
Ecco il punto, Barone. Una rosa è una rosa. E’ bella. Sta lì. E’ fine a se stessa. Non celebra le magnifiche sorti e progressive della società né, nel suo stare, esercita contro di essa l’arma della critica.
La domanda è, dunque, quella di sempre, quella di Giorgio Strehler e Paolo Grassi, quella relativa alla funzione pubblica della cultura e dell’arte: chi può godere di quella rosa? A quanti cittadini è consentito vederla, accarezzarla, annusarla?
Due poli, nel celebre manifesto del Piccolo Teatro: “un teatro d’arte, per tutti”. Arte, per tutti.
Arte. Una rosa?
Rossa?
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