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La lotta alla mafia di questo governo è come la botte delle Danaidi

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3 Giugno 2011

Egregio direttore,
ancora una volta, anziché rispondere punto per punto ai fatti indicati da Gian Marco
Martignoni, anziché compiere uno sforzo per “vedere non l’albero, ma la foresta”,
il lettore che si firma Roberto e che si è assunto l’improbo compito di valorizzare
l’operato di questo governo nella lotta contro la mafia, cerca di spostare il discorso
su aspetti secondari come la differenza tra “sequestro” e “confisca”, ignorando fra
l’altro la vergognosa vicenda della norma introdotta nella legge finanziaria del 2010
che prevedeva la vendita all’asta (e non più l’uso sociale) dei beni confiscati alle
organizzazioni criminali.
In realtà, malgrado le dichiarazioni trionfalistiche sulla sconfitta della mafia e
sull’impegno profuso dal ministero degli Interni, malgrado le operazioni di contrasto
militare gestite in modo spettacolare per esigenze propagandistiche, gli affari della
camorra, della mafia e della ‘ndrangheta continuano a prosperare, non ostacolati
neanche dalla crisi economica che, anzi, fornisce ampi spazi al reclutamento di
nuovi affiliati e alla speculazione sulle aree deindustrializzate (tanto per fare un
esempio, non passa giorno che in Campania fabbriche dismesse si trasformino in aree
edificabili, dove sorgono puntualmente o appartamenti o centri commerciali costruiti
dalle imprese edilizie dei clan e delle cosche). Del resto, come è noto, le grandi
opere, la gestione del ciclo dei rifiuti e le sue emergenze, nonché la privatizzazione
dei servizi, costituiscono il circuito in cui si realizzano gl’interventi economici
della “mafia imprenditrice”, ossia il riciclaggio e l’investimento del denaro ottenuto
mediante il processo di accumulazione dei capitali attivato con l’“industria del
crimine” (armi, stupefacenti, estorsione, prostituzione). Basti pensare che l’Eurispes
ha calcolato in 44 miliardi di euro annui il fatturato della ‘ndrangheta in una regione
come la Calabria, che registra il 27% di disoccupazione.
Sennonché il fenomeno mafioso ormai non riguarda più soltanto l’Italia
meridionale, ma l’intero paese, dove non si tratta più (come vuol far credere la Lega
Nord per nascondere la propria connivenza) di qualche boss mandato al confino in
qualche cittadina settentrionale, ma del coinvolgimento sempre più massiccio del
mondo della finanza e della politica nel controllo diretto esercitato dalla mafia, come
si è visto nella vicenda delle inchieste sulla ‘ndrangheta a Pavia e Milano: inchieste
che hanno sfatato la leggenda delle amministrazioni locali immacolate in Lombardia,
gettando luce su fenomeni come il voto di scambio e gli appalti di decine di miliardi
di euro, molto più diffusi di quanto si possa credere.
In conclusione, come ho già affermato in un’altra occasione, dal momento che
la mafia è coestensiva al sistema capitalistico si può dire che gli arresti dei capi
di questa frazione della classe dominante sono identici, come risultato effettivo,
alla classica botte delle Danaidi che, essendo priva del fondo, più viene riempita
d’acqua e più si svuota: sforzi inani che lasciano il tempo che trovano, destinati
quindi a restare inefficaci fin quando non saranno aggredite, attraverso una profonda

trasformazione della struttura economica, le radici del fenomeno mafioso: radici che
si intrecciano inscindibilmente a quei rapporti sociali di produzione e di scambio,
che l’attuale governo e il circolo affaristico-mafioso che lo controlla esprimono,
sostengono e promuovono. In questo senso, il decreto del governo Berlusconi
(giustamente citato da Martignoni) che deregolamenta le procedure di affidamento
dei lavori per opere pubbliche è uno spazio aperto concesso agl’interventi economici
della “mafia imprenditrice”. Per queste ragioni la necessità di una nuova stagione
di lotta alla mafia basata su una prospettiva anticapitalistica è il compito che si
devono porre le forze della sinistra, collegando in particolare l’impegno nella lotta
alla mafia con la battaglia per il diritto allo studio. Quest’ultima, che è l’altra faccia
della lotta contro le organizzazioni criminali, è una battaglia fondamentale che va
condotta non solo perché, specialmente nel Sud, grazie alla dispersione scolastica e
all’abbandono degli studi tali organizzazioni possono reclutare nuova manovalanza,
ma anche e soprattutto perché grazie alle carenze storiche dell’edilizia scolastica
e alla privatizzazione dell’istruzione si permette ai clan mafiosi di stendere le loro
grinfie sul mondo della scuola.

Italicus

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