Parkinson, riaccendere la vita: incontro a Villa Truffini

Iniziativa di informazione per quanti assistono i pazienti affetti da Parkinson. Appuntamento giovedì 15 novembre ore 19.30

Dovrebbero essere coloro che supportano i pazienti malati di Parkinson ma in realtà anche loro sono considerati le “vittime nascoste” della malattia perché schiacciati dalla prospettiva di un’assistenza a lungo termine. I care-giver, familiari e operatori socio-sanitari, non sempre sanno riconoscere i loro stessi bisogni, spesso non sanno a chi rivolgersi per affrontare i problemi dei pazienti e avrebbero invece bisogno di qualcuno che gli fornisse delle strategie di comportamento da usare con i pazienti. Nell’ambito del progetto “Parkinson – Riaccendere la vita”, si svolge oggi a Tradate (VA) presso Villa Truffini, un incontro che ha l’obiettivo di sostenere e offrire supporto ai care-giver, fornendo loro tutte le informazioni utili sulla malattia.
All’incontro saranno presenti tra gli altri, il Dottor Pietro Zoia, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera “Ospedale di Circolo di Busto Arsizio” e il Dottor
Davide Uccellini, Dirigente Medico Responsabile UOS Neurologia-Neurofisiologia P.O. “Galmarini” di Tradate e A.O. “Ospedale di Circolo di Busto Arsizio”.
L’iniziativa,  realizzata con il contributo di Novartis,  leader nell’area delle neuroscienze da più di 50 anni, attiva nella ricerca e sviluppo di nuovi composti, impegnata a rispondere alle esigenze mediche non ancora soddisfatte e a sostenere i pazienti e le loro famiglie colpiti da questi disturbi, è la quinta di un lungo ciclo che ha toccato molte città italiane a partire dallo scorso gennaio.

«Purtroppo – afferma la Sig.ra Giulia Quaglini, referente dell’Associazione Parkinson dell’Insubria –  Sezione Cassano Magnano prendersi cura di un ammalato per un tempo medio-lungo spinge il caregiver a negare se stesso ed i propri bisogni, dovendosi adattare ai ritmi di chi assiste. Tutto ciò avviene al di là della coscienza, ma significa sacrificare se stesso condividendo le problematiche della malattia Parkinson».

La malattia di Parkinson è la patologia a carattere neurodegenerativo più diffusa dopo l’Alzheimer. Intacca soprattutto la sfera motoria, compromettendo le capacità di movimento. In Italia sono oltre 200 mila le persone colpite. Rigidità, lentezza dei movimenti e tremore sono i sintomi principali del Parkinson, caratterizzato da un’evoluzione progressiva ma lenta, di solito nell’arco di 10-15 anni. La malattia ha un esordio solitamente insidioso, con disturbi aspecifici per cui spesso passa inosservata per qualche tempo prima della diagnosi. I sintomi motori sono sicuramente i più avvertiti e riconoscibili ma sono frequentemente presenti anche i disturbi cognitivi.

La progressione della malattia determina una significativa disabilità con un considerevole impatto di tipo economico e sociale: oneri sulla vita familiare, perdita di reddito e prematuro ritiro dal lavoro sono tra le conseguenze più frequenti.

Le terapie disponibili non permettono di ottenere la guarigione ma riescono ad assicurare un buon controllo dei sintomi della malattia, salvaguardando per gran parte del suo decorso la qualità della vita dei pazienti. A tutt’oggi, il farmaco più efficace nel trattamento della malattia di Parkinson è la levodopa: funziona come sostituto della dopamina, un neurotrasmettitore che viene a mancare nei pazienti parkinsoniani. «Ma oggi – spiega il Dottor Davide Uccellini – Dirigente Medico Responsabile UOS Neurologia-Neurofisiologia P.O. “Galmarini” di Tradate e A.O. “Ospedale di Circolo di Busto Arsizio” – i neurologi hanno a disposizione un’ampia scelta di strategie terapeutiche che si adattano alle esigenze cliniche e gestionali secondo i vari stadi della malattia. Dall’uso di dopamino-agonisti  sino a  nuove formulazione di levodopa che contengono anche un inibitore delle COMT, sostanza che impedisce la degradazione periferica della levodopa, rendendo più stabili le concentrazioni del farmaco. La finalità comune della terapia è quella di avere minori complicazioni motorie e prolungare l’efficacia della levodopa, evitando quegli sbalzi che intaccano la qualità della vita dei pazienti. Nei casi più gravi è possibile utilizzare pompe per introdurre farmaci dopaminergici sottocute o per via percutanea in duodeno oppure introdurre nell’encefalo un agoelettrodo stimolatore delle strutture colpite dalla malattia; insomma si può fare di tutto, riuscendo a garantire ai pazienti parkinsoniani una qualità di vita che si avvicini il più possibile alla media della popolazione».

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Pubblicato il 15 Novembre 2007
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