Spietata e vicina, la prima strage di ebrei in Italia
"Hotel Meina" è il libro che ha ispirato il film di Lizzani. Il racconto della crudeltà nazista e del processo che si svolse a Osnabrück 25 anni dopo
Un giardino affacciato sul lago, stanze lussuose, una sala biliardo e perfino una cucina che sapeva sfornare raffinate ricette nonostante il cibo, negli anni della guerra, fosse razionato. Guardando quello che resta oggi dell’Hotel Meina quasi non si può credere che fu tutto questo. Quell’edificio fatiscente che sorge nel cuore del paese, a due passi dalla riva del Verbano, possiede un passato raccapricciante e per molto tempo taciuto. A riscoprirlo e a raccontarlo, oltre alle voci del paese, fu il giornalista Marco Nozza, nato a Caprino Bergamasco 1926 e scomparso a Milano nel 1999. Con il suo libro "Hotel Meina" – il testo che ha ispirato il film di Carlo Lizzani – mise nero su bianco la storia della prima strage di ebrei in Itaila. Tutto ruota attorno all’albergo che, nel 1943, era di proprietà dei Behar una famiglia di ebrei di origine turca – particolare quest’ultimo che fu per loro decisivo – che dava ospitalità a molti turisti della sponda piemontese. Meina, Arona, Stresa e Baveno erano già da tempo mete di villeggiatura ma in quegli anni erano anche un rifugio tranquillo per molti personaggi importanti.
Come Arnoldo Mondadori che per salvarlo ai bombardamenti trasferì l’archivio della casa editrice nella sua residenza di Meina. Era una zona tranquilla malgrado le difficoltà che il secondo conflitto mondiale aveva comportato. La storia di quei luoghi ebbe però la sua rottura con il passato nella settimana dal 15 al 23 settembre del 1943. Le SS, racconta Nozza nel suo lavoro, varcarono le porte dell’albergo dei Behar avvisati da qualcuno della presenza di ospiti ebrei. Nella struttura alloggiavano infatti i Ferdinand Diaz – nonno Dino, il figlio Pierre con la moglie Liliana, Jean Robert e Brachette i loro figli -, la famiglia Mosseri – i coniugi Marco e Ester e il figlio Giacomo Renato con la moglie Odette – e la famiglia Torres – i coniugi Raul e Valerie – tutti di origine ebrea fuggiti appena in tempo da Salonicco. Non furono solo loro le vittime della follia nazista: anche Daniele Modiano, fuggito con gli altri dalla città greca, Lotte Froehlich, moglie dello scrittore Mario Mazzucchelli e due dipendenti del negozio milanese di antiquariato del proprietario dell’albergo, Alberto Behar, che si trovavano a Meina: Vitale Cori e Vittorio Haim Pompas.
Ciò che colpisce nel racconto di Nozza è la tranquillità che alcune famiglie che da anni abitavano in quei paesi possedevano: erano benestanti e convinte che, essendo italiane, non sarebbero finite nelle grinfie dei soldati tedeschi. Le truppe che giunsero a Meina invece non esitarono, erano quelle della divisione corazzata delle Waffen-SS Leibstandarte “Adolf Hitler”, uno dei gruppi più spietati. I soldati occuparono l’hotel e rinchiusero gli ebrei, Behar compresi, all’ultimo piano. Un fermo che durò per una settimana di fronte agli occhi attoniti degli abitanti del comune. Furono sette giorni di ansia che terminarono nel peggiore dei modi. Il capitano Krüger annunciò che i prigionieri sarebbero stati trasferiti in un campo di concentramento a circa 200 chilometri da lì, ma ciò non avvenne mai. Le camionette tedesche che trasportarono gli ebrei a piccoli gruppi, erano di ritorno dopo poche ore, troppo poche per credere che avessero percorso tutta quella strada. Il loro tragitto era infatti molto meno esteso, arrivava solo fino alla Casa Cantoniera di Pontecchio, dove le persone fermate venivano fucilate e i loro cadaveri gettati nel lago con dei sassi legati al collo per impedire alle salme di riaffiorare. Ciò però avvenne ugualmente e gli abitanti del paese ebbero la conferma di quanto detto da alcuni testimoni.
L’eccidio – contò sedici morti – risparmiò solo la famiglia Behar che si salvò grazie all’intervento del console turco, anch’egli ospite dell’albergo, che riuscì a cambiare le loro sorti ribadendo a gran voce la neutralità della Turchia.
Nel 1968 a Osnabrück fu celebrato il processo per quelle vicende. I Behar si costituirono parte civile e due ufficiali furono condannati all’ergastolo. Solo due anni dopo una sentenza del 1970 cancellò tutto, i reati erano caduti in prescrizione.
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Hotel Meina
di Marco Nozza
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