L’indiano secessonista guida il corteo, “chi non salta è un italiano”
Fazzoletti verdi e cori alla manifestazione leghista. Borghezio è "armato" di ascia celtica e i "Bobo Bossi boys" hanno preso i primi posti. Fischi quando il Senatur nomina Berlusconi
I cori dei leghisti riecheggiano nelle metro già di mattina presto, sempre di più mano mano che ci si avvicina a piazza Castello: “Maroni – Maroni” è quello che va per la maggiore.
In superficie i fazzoletti verdi sono già schierati pronti per la partenza fissata per le dieci. Ma si partirà un po’ più tardi, «abbiamo aspettato per non disturbare la messa dell’amico arcivescovo Angelo scola con le nostre urla», spiegherà più tardi Umberto Bossi dal palco del Duomo.
Il servizio d’ordine è schierato e serratissimo intorno ai leader presi d’assalto dai giornalisti che sono arrivati in tantissimi per la copertura della manifestazione.
Quando è il momento di partire Roberto Maroni rimane indietro e attraversa tutto il corteo dalla coda alla testa, fermandosi spesso a salutare e ringraziare i militanti che lo acclamano. In una pausa incrocia anche Rosi Mauro, la senatrice del “cerchio magico” opposta ai maroniani nella battaglia interna alla Lega. Tra i due dovrebbe essere tutto chiarito, come testimonia la foto del brindisi pubblicata in prima pagina dalla Padania dopo lo scontro al “Maroni day” di Varese. Ma l’ex ministro si presta freddamente al rito della fotografia insieme e nega l’invito dei fotografi che vorrebbero immortalare un abbraccio.
Il corteo finalmente si muove. Dietro lo striscione di testa sfilano tutti i dirigenti del Carroccio. Umberto Bossi, Marco Reguzzoni, Rosi Mauro e Roberto Maroni sono uno affianco all’altro. Calderoli in tuta padana verde scintillante dirige il servizio d’ordine.
Partono anche i cori: «Chi non salta è un italiano»; «Passera, Monti e Fornero vi facciamo il c… nero». Quando il serpentone sfila davanti a Palazzo Marino i cori sono indirizzati anche verso il sindaco Giuliano Pisapia.
In testa, prima del carro che guida il corteo, sfilano anche gli “indiani secessionisti”, su immagine del celebre cartellone elettorale di qualche anno fa. Ancora più avanti si consuma un primo momento di tensione. Quasi nei pressi di piazza Duomo un militante alza un cartello contro i “cerchiomagisti”, recita: ”il cerchio non quadra, fuori!!”. D’improvviso riceve un forte spintone che lo sbatte fuori dal corteo con violenza. È stato un altro militante che gli grida: “cosa fai ci sono i giornalisti!”.
Ma in piazza i maroniani di stretta osservanza hanno preso già le prime file davanti al palco. I più evidenti sono un gruppo della Val Camonica, hanno delle pettorine verde acido con scritto “Bobo Bossi boys” e sono lì dalle 7 di mattina. Durante il comizio fanno sventolare diversi striscioni. I due più significativi recitano “il Cerchio è stato inquadrato, il gioco è terminato. Game over” e “Monica sei falsa come la tua laurea” indirizzato all’assessore regionale leghista Monica Rizzi, che aiutò il figlio del capo, Renzo Bossi, durante la campagna elettorale per il Pirellone.
Il termometro della piazza lo si misura soprattutto in due occasioni, quando Bossi dal palco nomina due nomi. Il primo è quello di Marco Reguzzoni, che ringrazia per aver fatto un passo indietro. In quest’occasione dalla folla si alzano fischi e alcuni dei cori già sentiti al teatro Apollonio di Varese. L’ex capogruppo leghista rimane impassibile, sorridendo e applaudendo Bossi anche quando spende parole di sostegno per Roberto Maroni.
L’altro momento di sfogo è quando il Senatur nomina Berlusconi: la piazza lo sommerge di fischi e lui spiega: «state calmi altrimenti quello cambia la legge elettorale insieme al Pd e ci fanno fuori”. Ma subito dopo dal palco del Duomo è proprio Bossi a fare partire la minaccia più temuta per l’ex presidente del Consiglio: «caro Berlusconi o molli il governo dei banchieri di Mario Monti oppure noi facciamo cadere la maggioranza in Regione e si torna a votare».
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