Angela Davis: la battaglia contro il capitalismo e il razzismo continua
20 Settembre 2014
Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Eros Barone
Giovedì 18 settembre, organizzato dalle associazioni Italia-Cuba e Italia-Nicaragua, si è svolto in un circolo Arci di Savona un incontro con Angela Davis. Informato grazie alla Rete su un evento quasi clandestino, dal momento che nessun giornale, né locale né nazionale (ivi compreso il “Manifesto”), aveva ritenuto di darne notizia, ho deciso con mia figlia e con alcuni amici di partire da Genova, città dove abito, e ho raggiunto, arrampicandomi con l’auto su una delle scoscese colline che dominano la città ponentina, la sede del circolo che ha ospitato tale evento. Qui abbiamo trovato, sedute lungo le tavolate che riempivano una grande sala, un centinaio di persone, un buon numero delle quali si erano portate appresso, come lo scrivente, le copie consumate, chiaramente risalenti agli anni ’70 del secolo scorso, del libro di Angela,“Autobiografia di una rivoluzionaria”, per farsele autografare dall’autrice, mentre le copie della ristampa più recente di questo libro, esposte su un banchetto, andavano a ruba. Dal canto suo, Angela Davis aveva già preso il suo posto, accompagnata dall’interprete, lungo una delle tavolate e, icona suggestiva della nostra giovinezza di irriducibili sessantottini e ora splendida settantenne, ci sorrideva, il volto di mulatta incorniciato dal caratteristico casco di capelli ricciuti, gli occhi vivi e lo sguardo profondo, offrendoci un’immagine su cui il tempo intercorso e le dure esperienze del carcere e della militanza comunista non hanno inciso i loro segni se non per renderla ancor più affascinante.
Dopo aver gustato un’ottima cena a base di pizza, focaccia, farinata e vino, abbiamo così potuto ascoltare, preceduta dagli interventi dei dirigenti locali delle associazioni organizzatrici della serata, la coinvolgente testimonianza di un’autentica intellettuale di opposizione, che da alcuni anni insegna Storia della Coscienza presso l’università della California, dove dirige anche il “Women Institute”. Il primo argomento che Angela ha trattato riguardava il movimento di solidarietà internazionalista che si è sviluppato in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, per la liberazione dei cinque agenti del controspionaggio cubano arrestati dal governo americano mentre svolgevano attività di prevenzione e contrasto delle trame terroristiche ordite dai profughi anticastristi di Miami e detenuti illegalmente nelle carceri statunitensi da ben sedici anni. Il presidente Obama – ha ricordato Angela – si era impegnato per porre fine alla loro detenzione (e in effetti due di essi sono stati liberati e hanno potuto fare ritorno a Cuba). Ora si attende, come fanno sperare le misure di riduzione delle restrizioni sui viaggi tra l’isola caraibica e gli Stati Uniti assunte dall’attuale presidente degli Stati Uniti, che entro la fine del suo mandato non solo siano liberati gli altri tre agenti, ma che le relazioni fra i due paesi si normalizzino con la revoca, anch’essa auspicabile e, grazie alle pressioni esercitate dall’Onu in tal senso, forse anche realizzabile, dell’ultracinquantennale embargo contro Cuba imposto e mantenuto dalle varie amministrazioni che si sono succedute.
La rivolta della popolazione afro-americana di Ferguson, sobborgo della città di St. Louis nel Missouri, avvenuta in séguito all’uccisione di un ragazzo di colore da parte della polizia, l’aggressione israeliana contro la popolazione palestinese rinchiusa nella Striscia di Gaza e gli stupri nei confronti delle donne, posti a confronto in un ideale trittico delle varie forme di violenza esercitate dall’azione congiunta del capitalismo, del razzismo e del sessismo, hanno costituito un ulteriore tema di grande interesse, non solo politico ma anche filosofico e antropologico, della sintetica ed incisiva ricognizione che Angela Davis ha sviluppato intorno alla condizione che gli sfruttati e gli oppressi vivono e soffrono “nel ventre del mostro”, laddove questa metafora, oltre ad essere il titolo del primo resoconto autobiografico che la Davis stese sulla sua esperienza di organizzazione e di lotta, qualifica in modo icastico la repressione politica, giudiziaria e carceraria esercitata dallo Stato capitalistico americano nei confronti di una militante comunista e di colore (due tratti pressoché inscindibili di quello che per la classe dominante degli Stati Uniti è il “nemico interno”).
Nel suo ampio ed articolato intervento Angela Davis ha inserito, inoltre, un puntuale riferimento ad Antonio Gramsci, indicato dalla studiosa afro-americana come uno dei maggiori pensatori comunisti del Novecento. E che non fosse soltanto un accorto omaggio al pubblico italiano ella lo ha dimostrato con l’applicazione della metodologia gramsciana di analisi del ‘senso comune’ all’immagine pubblicitaria di un prodotto dolciario italiano (le caramelle “Moretto”), che ripropongono nella loro confezione, attraverso il viso di un ‘negretto’ africano, l’immaginario colonialista e razzista risalente all’epoca mussoliniana. Al termine dell’incontro, svoltosi in un clima caratterizzato da grande attenzione e, a tratti, da vivo entusiasmo, due domande poste dal pubblico mi sembra che possano riassumere il significato di un evento che non si dimentica. La prima concerneva le forme della protesta e il loro cambiamento rispetto ai decenni degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, in cui si snodò, tra i ghetti, il “Black Panther Party”, il partito comunista, l’università e il carcere, la drammatica esperienza di formazione umana, politica e culturale della Davis. La risposta, chiara e netta, della studiosa è che il marxismo è la teoria scientifica che deve guidare, allora come oggi, la lotta per l’emancipazione delle classi e dei soggetti subalterni e che, rispetto al passato, occorre usare, in funzione di tale lotta, il nuovo strumento rappresentato dalla Rete. Ad un’altra domanda, posta da mia figlia Arianna e riguardante il modo in cui occorre operare, sul piano educativo, per combattere e sconfiggere ogni forma di razzismo, Angela Davis ha risposto indicando due testi, a suo giudizio fondamentali, che qui mi sembra giusto riportare a beneficio di chiunque intenda approfondire questo aspetto centrale della tematica trattata nel suo intervento dalla nostra studiosa. Si tratta del libro di Paulo Freire su “La pedagogia degli oppressi” (1968) e del saggio dello scrittore keniota Ngugi wa Thiong’o, intitolato “Decolonising the Mind: the Politics of Language in African Literature” (1986).
Un’ultima osservazione, in margine a questa cronaca dell’incontro con la Davis, merita infine di essere qui riferita. Parlando con la signora ucraina che assiste mia madre, ho potuto constatare, riscontrando che conosce perfettamente la Davis, ne ammira la personalità e ne condivide la battaglia, condotta ancor oggi “nel ventre del mostro”, contro il capitalismo e il razzismo, quanto fosse stata vasta e capillare nel corso degli anni settanta la campagna di denuncia della repressione anticomunista e di solidarietà con la militante afro-americana sviluppata in Unione Sovietica e in altri paesi socialisti: basti pensare che nel 1978 le fu conferito da Leonid Breznev, segretario del partito comunista e capo dello Stato sovietico, il premio Lenin per la pace.
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