Einstein: un ateo doc
15 Maggio 2008
Egregio direttore,
«Per me, la parola dio non è niente di più che un’espressione e un prodotto dell’umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, che a dire il vero sono piuttosto infantili… Nessuna interpretazione, non importa quanto sottile, può farmi cambiare idea su questo… Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un’incarnazione delle superstizioni più infantili. E il popolo ebraico, del quale pur mi compiaccio di far parte e con la cui mentalità sento un’affinità profonda, per me non ha qualità differenti da quelle di qualsiasi altro popolo. Per quanto posso dire sulla base della mia esperienza, gli ebrei non sono migliori di altri esseri umani, a parte il fatto di essere protetti dai cancri peggiori perché hanno poco potere. In essi non vedo niente di eletto».
Così scriveva il grande scienziato, il 3 gennaio 1954, un anno prima di morire, al filosofo Eric Gutkind, che gli aveva inviato una copia di un suo libro sulla religione; e bene ha fatto la “Prealpina” del 14 maggio scorso a dedicare un articolo a tale notizia, anche se il titolo scelto risulta quanto mai stravagante: “Einstein tormentato”. Ma quale tormento? Le affermazioni di Einstein, contenute nella lettera testé citata, sono limpide e chiare come l’acqua dei laghi svizzeri e dimostrano la forza profonda e irresistibile della razionalità storica e scientifica, allorché questa viene applicata all’analisi e alla valutazione delle ideologie religiose. Naturalmente, Einstein non poteva prevedere rivolgendosi nel 1954 a Gutkind, il quale aveva rifiutato l’offerta dello Stato di Israele di diventare il suo secondo presidente della repubblica, che gli ebrei, “protetti dai cancri peggiori perché hanno poco potere”, sarebbero stati colpiti anch’essi da quella malattia mortale, di cui la politica militarista, razzista ed espansionista dello Stato di Israele ha fornito così tanti esempi nella seconda metà del Novecento e in questo primo decennio del ventunesimo secolo. Ma le sue considerazioni sul carattere superstizioso e infantile della religione (di qualsiasi religione), da cui, fra l’altro, discende la constatazione dell’eguaglianza degli ebrei rispetto a qualsiasi altro popolo, hanno il significato e il valore che appartengono alle verità che non temono confutazione alcuna.
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