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Il crollo dell’economia mondiale

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26 Febbraio 2009

 “L’impresa appare sempre quasi eccessivamente sana proprio immediatamente prima del crollo. La prova migliore viene fornita dai rapporti nei quali tutti i direttori di banca, commercianti, in breve tutti i competenti invitati a testimoniare, si congratulavano vicendevolmente per la prosperità e solidità degli affari proprio un mese prima che scoppiasse la crisi. E, fatto curioso, lo storico della crisi fa rivivere ancora una volta questa illusione. Gli affari sono sempre sanissimi  e il loro svolgimento progredisce a un ritmo favorevole fino a che il crollo avviene tutto in una volta.” Così Marx nel 30° capitolo del Terzo Libro del “Capitale”.
Simile ai ciechi di Brügel, l’umanità intera marcia incoscientemente verso il precipizio: una voragine che non riguarda esclusivamente l’economia, giacché la crisi, duratura e inarrestabile, ha enormi implicazioni sociali e politiche. È ormai ogni giorno più evidente come i cosiddetti ‘esperti’ neppure concepiscano l’immensa portata del crollo annunciato dell’economia Usa, nonché del crollo, trascinato da essa, di tutta l’economia mondiale del capitale, ormai orientata sulla pura speculazione finanziaria. Per altro, non sono solo gli esperti padronali a non accorgersene o a fingere “per dovere” di non vederlo; la cecità è pressoché totale e l’incoscienza non è da meno. Evidentemente, la storia è sempre una maestra inascoltata, se può accadere, per dirla con le sopraccitate parole di Marx, che gli affari “appaiono sempre sani, fino a che il crollo avviene tutto in una volta”.Il Fmi, tracciando una panoramica della stabilità finanziaria, stima la perdita complessiva causata dalla crisi finanziaria in mille miliardi di dollari = 1.000.000.000.000 di dollari! Una cifra a dodici zeri, per i più incomprensibile. Sennonché, i ‘teorici’ dell’imperialismo asseriscono che… “l’impatto della crisi della finanza si trasmette all’econo­mia reale”: non il contrario.
In realtà è tutto il capitale mondiale, ma soprattutto quello a base Usa, che si è rifugiato, a partire dal periodo del monetarismo fino agli inizi degli anni 2000 e della mistificazione alimentata a proposito della “nuova economia”, nella pura speculazione. Con la grande crescita di ogni sorta di ‘derivati’ esso ha cercato di occultare la crisi reale di sovrapproduzione che risale alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. Quello che è falsamente detto “nuovo capitalismo”, cioè, mira solo a raccogliere profitti senza badare alla produzione: non a caso, l’aumento formale contabile del Pil negli Usa fu dovuto ai consumi privati a debito, ma non alla ripresa della produzione reale. Inoltre, i salari orari, sempre negli Usa, sono al livello del 1979, abbassati per cercare di recuperare i profitti in calo e spostare la razzìa delle entrate sul capitale fittizio e sulla speculazione, poiché il ricorso alla produzione è divenuto impossibile. Dagli inizi degli anni 2000 (seconda elezione di Bush jr) il Pil Usa è perciò dipeso largamente dalle transazioni su titoli massicciamente gonfiati, mentre la produzione nell’eco­nomia reale ha languito. Dalla crisi del debito (anni 1980) alle crisi monetarie (1990) fino alla crisi del Sud-est asiatico (1997), il deliberato crollo dei prestiti pubblici ha lasciato spazio alla sua sostituzione con interventi dei fondi privati (ossia, non più controllabili ‘direttamente’ dallo Stato o dagli organismi internazionali, il che comporta rischi incomparabili rispetto a quelli ufficialmente riconosciuti dalla Banca mondiale). Ogni investimento è stato follemente gonfiato dalla politica monetaria (vedi anche i casi dell’energia, greggio anzitutto, degli alimentari, dell’acqua ecc.), provocando sciagurate politiche che hanno gonfiato la bolla e distrutto il dollaro. Nel piccolo e provinciale mondo italiano, immeschinito ancor di più dalla deriva lombarda, può rientrare in un simile quadro anche il caso Alitalia, in cui è chiara l’azione della speculazione per far scendere il titolo al fine di poterlo comprare “in svendita” al ribasso e ripartire “facendo produrre denaro al denaro”.
È dunque facile prevedere che i ‘derivati’ imploderanno sempre di più e migliaia di miliardi di dollari in capitalizzazioni fittizie di mercato svaniranno dopo decenni di manipolazioni della “finanza creativa”. Oggi, a differenza che in passato, la sovrapproduzione è tale non solo da aver portato alla distruzione, in valore e anche in ricchezza, del capitale produttivo, ma da aver consegnato l’intero terreno alla pura speculazione. La destabilizzazione sociale che seguirà a un simile cataclisma è difficilmente immaginabile,  se si considera che non ci potrà essere, almeno in tempi ravvicinati, alcuna presa di coscienza in senso rivoluzionario.
Il crollo del mostro dei derivati si palesa così in tutta la sua evidenza e inevitabilità. E, se si guarda al balletto di conferenze e incontri internazionali che si sta svolgendo fra i principali paesi coinvolti nella crisi, il commento che sorge di getto è lo stesso con cui si espresse mordacemente Karl Kraus in uno dei suoi mirabili aforismi: “qui si stanno proprio curando i calli a un malato di cancro”.
 
 
 
Enea Bontempi

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