Quarantuno anni fa la tragedia di Vermicino: il bisogno di ricordare

12 Giugno 2022
Sono trascorsi 41 anni. Era il lontano giugno del 1981 e come non ricordare il tragico “racconto” televisivo, con una diretta di oltre 18 ore, a reti unificate sul primo e secondo canale, che seguì l’evolversi della tragedia di Vermicino, riguardante il piccolo Alfredino Rampi, di 6 anni, il bambino caduto in uno strettissimo pozzo artesiano e rimasto intrappolato fino alla morte. Un evento che raccolse un “consenso” mediatico di oltre 20 milioni di telespettatori con punte di quasi 30.
E’ vero, non in pochi, hanno parlato di un terrificante reality show (quasi il precursore), di uno spaventoso circuito mediatico che avrebbe, poi negli anni e nei decenni successivi, costruito più o meno consapevolmente e miratamente la cosiddetta tv del dolore. Certo la registrazione della voce singhiozzante del bambino e la richiesta di aiuto alla sua mamma furono scioccanti. Dunque, non pochi musicisti, in alcuni testi musicali, hanno ripreso criticamente quella “narrazione”.
Eppure, il mio ricordo, come quello, probabilmente, di tanti italiani rimasti incollati a una vecchia televisione in bianco e nero, è libero da ogni valutazione “dietrologica”. L’allora presidente della Rai parlò di una sincera partecipazione emotiva, popolare. E così io vissi quella diretta; per me Alfredino era come un fratello minore, così come per mia madre una sorta di figlio, per il quale provavamo un tenero affetto e al quale avremmo desiderato tendere una mano soccorrevole per salvargli la vita. Le lacrime di milioni di italiani testimoniarono un’adesione vera e commossa, autentica e pura. Ecco allora le ragioni di quella folla di oltre 10000 persone che si accalcò attorno al pozzo (non solo curiosi e dobbiamo sottolinearlo), di tutti quei volontari, tra cui circensi, contorsionisti e persone comuni: non possiamo dimenticare il facchino autista sardo che cercò di calarsi nel pozzo, in un’impresa epica, alquanto disperata e pericolosa anche per la sua stessa vita. Tutti ci sentivamo coinvolti, come lo stesso grande presidente Pertini giunto sul posto, da normale cittadino e quasi da “nonno adottivo” per fornire il suo sostegno a una famiglia affranta. Tutti avvertivamo la necessità di stringerci attorno a quel dramma collettivo.
Insomma, non c’era nulla di morboso e non penso che ci fosse nemmeno la rincorsa all’auditel, agli ascolti record, a fronte, peraltro della carenza di una significativa concorrenza televisiva. Nulla, almeno nell’immaginario e nella percezione di milioni di connazionali della “porta accanto”, di qualcosa di artificioso, calcolato e mirato.
L’esplicitazione, dunque, di un servizio pubblico nel suo significato più nobile, che sapeva cogliere lo spirito di forte aggregazione e condivisione di una nazione allora ancora semplice, solidale, altruista, dal cuore grande, di un’Italia spontanea, genuina, legata alle sue radici, ai suoi antichi valori.
E ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni il bisogno di ricordare…
Claudio Riccadonna
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