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Dove è lo scandalo?

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14 Ottobre 2015

Egregio Direttore,

Va detto che la stampa a livello mondiale ha dato un eccessivo rilievo alle parole di Mons. Krzystzof Olaf Charamsa, sacerdote polacco, teologo, Segretario della Commissione Teologica Vaticana della Congregazione per la dottrina della fede, che ha pubblicamente dichiarato di avere una relazione sentimentale e per questo motivo è stato licenziato (il termine tecnico usato dal Vaticano è stato: sospensione dall’incarico, sospeso a divinis o riduzione allo stato laicale) ma pur sempre licenziamento dal suo posto di “lavoro”. Si riconferma quindi la pratica che quando un prete si innamora, o tiene tutto in segreto e allora va tutto bene, ma se ha il coraggio della verità, viene licenziato. E viene anche licenziato anche quando riconosce pubblicamente di essere diventato padre del proprio filgio.

Si sancisce quindi una sorta di norma per preti: vietato innamorarsi, cioè vietato amare e soprattutto vietato amare un proprio figlio quando lo si riconosce pubblicamente. Chissà allora come si possa conciliarsi il comandamento divino “Ama il prossimo tuo come te stesso” quando poi si nega il principio elementare dell’amore che è il voler bene ad una altra persona oppure al proprio figlio, riconoscendolo. La contraddizione è quindi enorme soprattutto per una chiesa che vuole predicare l’amore e che ci insegna che DIO E’ AMORE. Qualcuno ovviamente adesso mi farà ricordare che all’inizio della ordinazione per i preti, c’è la promessa di celibato, che tradotta in parole povere significa VIETATO AMARE, vietato volere bene, vietato affezionarsi perché questi sono sentimenti dei comuni mortali, che non si addicono alla casta sacerdotale, quasi che la vocazione possa essere incompatibile con l’amore. Imposizione semplicemente assurda, disumana, crudele, impraticabile, che tenta di far passare i preti come una sorta di robot, privati dei rapporto sentimentali. (Cosa evidentemente diversa nel caso del celibato volontario). In questa concezione ci sono tutte le contraddizione della chiesa. La prima è quella che molti chiamano con il complesso dell’altare, quella cioè di aver creato l’illusione che il clero è formato da esseri superiori, non contaminati dalle passioni dei comuni mortali. Solo in questi ultimi mesi Papa Francesco ammonisce tutti i parroci a scendere dall’altare e di farsi servi dei servitori anche se oggi tutti i nostri parroci sono oberati dalle tante incombenze quotidiane e ripetitive, che meritano tutto il nostro rispetto e la nostra considerazione. La seconda contraddizione è quella di aver creato una categoria di persone che non si sono ancora liberate di certe antiche complessi (misoginia e sessuofobia), condizionate dalla regola alla obbedienza alle strutture della chiesa piuttosto che al Vangelo. Ed su questa grande contraddizione che la chiesa ho costruito il proprio impero temporale commettendo crimini che lo stesso Papa Francesco ha definito recentemente non solo anticristiani ma disumani. Mons. Charamsa non finirà sul rogo per eresia, come succedeva un tempo, ma l’averlo licenziato è comunque un rogo virtuale.

La domanda che allora io mi pongo è questa: Chi da scandalo in questa vicenda: Monsignor Charamsa che ha dichiarato pubblicamente di essersi innamorato oppure è la chiesa che con le sue regole medioevali, licenzia un proprio servitore, tra l’altro molto autorevole, colpevole solo del coraggio della verità,? Per questo è importante anche i laici, che non corrono nessun rischio, trovino il coraggio di ammonire la nostra chiesa, senza timori o preoccupazione e dire a gran voce: che cessino una volta per tutte le discriminazioni. Solo così la Chiesa può liberamente tornare ad evangelizzare il mondo, liberandosi di tutte le catene delle tradizioni antiche, facendo della misericordia la sua stella polare, decretando una volta per tutte che le differenze sono un dono di Dio, mentre le divisioni sono opera di Satana.

Questo significa consentire l’eucarestia ai risposati, abolire il celibato obbligatorio rendendolo volontario, aprirsi alle donne che vogliono diventare sacerdoti, non avere nessun atteggiamento discriminatorio nei confronti delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali, consentire alla Stato laico di legiferare come ritiene opportuno senza ulteriori crociate ideologiche. Senza questi passaggi è la chiesa stessa che da scandalo al mondo, contraddicendo il messaggio evangelico. E quando si va contro il Vangelo, si è in peccato mortale. Ma anche lasciare o tacere di consentire alla chiesa di vivere in peccato mortale è un peccato mortale. Così come si è un peccato mortale quando si assiste in silenzio alle prepotenza sul debole, convalidando l’ingiustizia sociale, senza il coraggio di schierarsi.

L’ultima considerazione è sull’attuale Sinodo dei vescovi, in corso a Roma sul tema della famiglia. Nei confronti di un mondo che va a rotoli, con milioni di persone che scappano dalle zone di guerra provocate dai paese occidentali, con il pericolo della terza guerra mondiale, queste persone che non hanno mai vissuto sulla loro pelle le difficoltà delle famiglie, discutono di una cosa certamente importante, ma che rischia incidere poco o nulla nella vita della società occidentale. Ma quanto sarebbe feconda la discussioni del Sinodo se tra loro ci sarebbero anche tanti preti sposati !

Personalmente ho seri dubbi su una conclusione di questo Sinodo nel segno della Misericordia. Lo stesso Papa Francesco, che non smette mai di ammonire la sua Chiesa perché si converta alla Misericordia di Dio, in questi giorni di apertura del Sinodo mi sembra di averlo visto triste, stressato, senza quel sorriso di gioia e di speranza che da sempre caratterizza il suo apostolato. Sembra quasi prigioniero di quel Sinedrio, fatto da rabbini, scribi e farisei, che misero in croce lo stesso Gesù Cristo. Una cosa purtroppo è certa: su tanti temi, dalla famiglia alla crisi epocale delle immigrazioni la chiesa ha ritardi secolari, che credo Papa Francesco senta sulle sue spalle, un peso enorme che speriamo la Provvidenza Divina gli doni la forza di poterle superare.

Emilio Vanoni

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