Un posto al sole

Seconda puntata del diario di Matteo Astuti, volontario ad Addis Abeba: si parla di cibo, atmosfere africane, locali notturni e treccine

Ormai è passata più di una settimana dal mio arrivo ad Addis ma mi sembra che sia passato molto più tempo. Le attività e le cose da fare sono così numerose che mi sembra di aver già vissuto qui tantissimo. È il momento di descrivere le cose principali e le prime impressioni sul mio nuovo habitat.

 

LA CASA. È decisamente bella. Piccola ma accogliente e soprattutto molto africana. Non siamo (io, la tutor del progetto e il mio collega Giovanni) esattamente in centro anche perché la città è enorme ma abbiamo un giardinetto davanti casa, un gatto, una cagnolina che ha appena partorito quattro cuccioli. L’interno è di fango, verniciato con un colore ocra molto bello che rende la casa veramente accogliente. L’arredamento è integralmente  etnico, il bagno è cadente (diciamo che si sono dimenticati di mettere le piastrelle), la cucina è piccola, ma da un paio di giorni un po’ più

occidentale visto che abbiamo trovato la bombola del gas (per i primi giorno ci siamo accontentati di una specie di contenitore di latta in cui mettevamo del carbone). Io e Giovanni viviamo in una stanzetta con un letto a castello, un paio di mensole, una mini scrivania e una cartina dell’Etiopia…i vestiti sono “adagiati” per terra. Sara, la tutor, invece ha la sua cameretta che è un po’ meno spartana visto che è abitata stabilmente da lei ormai da quasi due anni. La cosa veramente bella è che la nostra casa è costantemente invasa da gente, in prevalenza etiopi che vengono a scroccare la cena o lo stereo per ascoltare l’orrendo pop amarico che qui spopola. Tra queste persone ci sono due ragazze, Jodith e Shitai, che vivono ormai stabilmente sui divani della sala da due mesi. Merah e Musè, due ragazzi di vent’anni che sono in vacanza da scuola, si accontentano invece di venirci a trovare quasi tutti i giorni e spesso si fermano a dormire facendo un casino indegno. La media di gente a cena si aggira sempre sulla decina di persone…immaginatevi cosa possa voler dire cucinare per dieci persone con un fornello alimentato a carbone…Comunque è eccezionale perché tutti sono simpatici e soprattutto è molto facile, anche troppo, riuscire ad entrare in contatto con la cultura locale.

 

ADDIS ABEBA. L’impatto è stato veramente brutto: una città molto caotica, molto povera e soprattutto estremamente sporca. L’inquinamento si avverte tranquillamente e non c’è bisogno di soffermarsi sugli scarichi della macchine o sulla situazione delle strade per rendersi conto dello schifo che c’è in giro. Girandola in questi giorni mi sono reso conto però che ci sono delle cose molto belle ed affascinanti. Anzitutto è bellissima la conformazione geografica della città: considerando che siamo a 2700 metri sul livello del mare dovete immaginarvi continui saliscendi, slam e quartieri degradati che si arrampicano sulle colline e che si alternano a palazzi moderni piuttosto squallidi. I monumenti da vedere sono praticamente inesistenti ma il colpo d’occhio è quanto meno interessante. Abbiamo già più volte assaggiato l’ottimo caffè locale ed il thè, oltre la pasticceria. La città pullula di bar più o meno curati e caratteristici. Tanta gente che chiede l’elemosina e tantissimi ragazzi e bambini che puliscono scarpe sui marciapiedi. Abbiamo avuto la nostra prima esperienza in un locale notturno tipico di Addis. Vengono chiamati Asmari Bet e sono dei locali stretti, con luce soffusa, arredati con artigianato locale. La gente si dispone lungo le pareti seduti e attende da bere. L’intrattenimento è lasciato a un uomo che suona uno strumento locale e ad una donna che balla passando di fronte ai presenti intonando canzoni e strofe in amarico con cui sostanzialmente prendono per i fondelli il pubblico. Il divertimento è per chi capisce l’amarico. Noi sostanzialmente eravamo lì per garantire divertimento agli altri.

 

I PROGETTI. Il giorno dopo il nostro arrivo siamo subito andati a visitare il carcere di Addis Alem, una cittadina che si trova a 70 km dalla capitale e che si raggiunge percorrendo una strada impervia ma immersa nella vegetazione più rigogliosa. Laghi, colline, banani, eucalipti, acacie, una scimmia e tantissime mucche, capre, asini e muli. Il carcere è stato un luogo sconvolgente da scoprire, non tanto per il fatto di vedere 800 persone dormire in quattro camerate, senza bagno interno, ma per l’atmosfera di collaborazione e serenità che si respira all’interno della struttura. Immaginatevi una palizzata come barriera d’uscita, due torrette di vedetta con altrettanti guardiani mezzi addormentati. All’interno si sta cercando di far decollare una attività generatrice di reddito: produzione di coperte ricamate e tessuti da vendere (molto belli, ve l’assicuro). Tutti coloro che sanno già lavorare si mettono a disposizione degli altri per insegnare loro il mestiere.

Il secondo giorno invece siamo stati a Wolisso, una paese a 150 km da Addis a visitare un progetto di microcredito che riguarda 30 donne del paese. C’è stata la distribuzione del primo credito ed abbiamo visitato la capanna di una di queste donne che produce arakè, un distillato simile alla grappa, abbastanza buono. Un po’ di disgusto c’è stato nel momento in cui abbiamo visto la procedura di preparazione (non sto a descriverla, meglio per voi). Le donne del progetto sembrano comunque veramente tutte in gamba e testimoniano una volta di più il ruolo fondamentale che la donna riveste nella cultura africana, anche dal punto di vista del sostentamento economico delle famiglie. Per il resto siamo ancora in fase di studio dei progetti. Sicuramente mi toccherà seguire le carceri, ma ne sono ben contento.

 

Il CLIMA. Scordatevi il caldo asfissiante degli altopiani: qui siamo in piena stagione delle piogge. La temperatura è abbastanza costante e si sta in giro con felpa e pantaloni lunghi leggeri. Questo clima dovrebbe durare fino alla fine di settembre e poi comincerà il gran caldo di giorno ed il freddo di notte. Ovviamente questa pioggia sta rendendo tutto molto verde e rigoglioso. Il sole non dura mai più di una mezza giornata ma tutti ci assicurano che è meglio così…vedremo.

 

IL CIBO. Caffè e thè ottimi, pasticceria oltre le aspettative. Il grosso problema è la njera: si tratta di una specie di pane che si ottiene da una radice e che ha la consistenza della gomma e forma schiacciata e rotonda. Si dice che uno straniero a cui era stata portata l’abbia utilizzata per pulirsi le mani pensando fosse un tovagliolo. Il sapore non è inizialmente sgradevole, ma dopo un po’ provoca un po’ di acidità. Gli etiopi mangiano la njera con qualsiasi cosa (dalla pasta alla carne, alla verdura). I condimenti che si utilizzano (wot, shirò, ecc…), a base di carne o di legumi sono buoni e spesso molto speziati o piccanti. E’ comunque una cucina da sperimentare. Ci sono anche tre tipi di birra chiara (meta, castel e dashen): a parte l’ultima, sono da provare.

 

L’ATMOSFERA. Sicuramente un’Africa molto diversa da quella che conoscevo, lo Zambia. Si respirano forte i suoni e i profumi e i colori tipici delle regioni arabe.

 

Presto cominciano i campi organizzati per ragazzi che provengono dall’Italia. Si cercherà di dare assistenza ad orfani attraverso animazione e assistenza sanitaria a malati terminali di AIDS. Per adesso direi che è anche troppo. Un’ultima cosa: non ho resistito alla tentazione…i miei capelli sono già carichi di tante treccine e credo muteranno spesso aspetto e consistenza.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 31 Luglio 2005
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