Buon anniversario Statuto Albertino

Il 4 marzo 1848 re Carlo Alberto concedeva lo Statuto, prima carta costituzionale di quello che tredici anni dopo sarebbe diventato il Regno d'Italia. Sarebbe rimasto in vigore, con modifiche, per un secolo

Il 4 marzo del 1848 nasceva l’antenato della Costituzione italiana: lo Statuto Albertino. La sua importanza sta nell’aver enunciato nero su bianco, per la prima volta, i diritti fondamentali di cittadinanza in quello che sarebbe diventato in seguito il nucleo del regno d’Italia, a partire da quelli all’eguaglianza, alla stamapa, alla libera riunione, alla difesa della proprietà.  Si trattava della prima Costituzione concessa nel regno di Sardegna – che oltre all’isola comprendeva Piemonte, Savoia, Valle d’Aosta, Liguria, contea di Nizza, Lomellina e Oltrepò Pavese –  in un anno di eccezionale fermento politico in gran parte d’Europa, rimasto proverbiale ("è successo un quarantotto" si disse per più di un secolo per indicaare grandi sommovimenti). Nello stesso anno si attuava anche l’emancipazione di Valdesi (protestanti delle valli piemontesi) ed Ebrei, fin lì cittadini di serie B, pur precisando lo Statuto che lo Stato era confessionale, e di religione "cattolica, apostolica e romana".
Un periodo, quello del 1848, dalle sorprendenti similtudini con il nostro 2011 e le rivoluzioni che scuotono il Nordafrica. Allora era l’Europa a fremere e scuotersi sotto il giogo di regimi reazionari e oscurantisti, nel nome del liberalismo e della causa nazionale, contro la tradizione e il diritto divino dei re, sotto l’occhio della superpotenza di turno (allora la Gran Bretagna, signora dei sette mari), benevola ma attenta a tutelare i suoi interessi. Il fallimento di quelle rivoluzioni, in particolare nel mondo di lingua tedesca, ebbe le più deleterie conseguenze e si può considerare una delle cause più remote della stessa Prima Guerra Mondiale, scoppiata più di due generazioni dopo, ove si interpretasse quest’ultima come uno scontro, almeno sul fronte occidentale, fra chi a seguito di quel periodo aveva accettato il liberalismo (Francia, Gran Bretagna) e chi in ogni modo cercava di evitarlo (Germania, Austria-Ungheria).
Fu re Carlo Alberto, poi detto "re tentenna", a concedere quel 4 marzo 1848 lo Statuto a fronte delle continue notizie di rivoluzioni – in Francia, in Sicilia, a Napoli e altrove – in cui folle guidate dalla borghesia progressista, nel bel mezzo di una pesante crisi, chiedevano pane e libertà. Si diceva allora, con orrido francesismo, che quella fosse una carta "ottriata", da octroyée, cioè "concessa" graziosamente dal sovrano, non strappata dal popolo con la sua lotta –  a Torino non vi furono moti di piazza. Nondimeno, fu un passaggio politico importantissimo che fece entrare il regno dei Savoia nella modernità politica. Il re considervava l’esercizio esclusivo del potere esecutivo: il governo era responsabile solamente di fronte a lui quale Capo dello Stato, persona sacra e inviolabile, non soggetta a sanzioni penali ma tenuto a rispettare quanto pattuito coi sudditi. Si prevedeva poi l’istituzione di un parlamento bicamerale: un Senato di esclusiva nomina regia (e a vita) a bilanciare una Camera elettiva (a suffragio censitario, molto ristretto, in pratica votavano solo i più benestanti, purchè, s’intende, maschi). Le leggi dovevano avere l’approvazione delle due camere, e beninteso la non contrarietà del Re.
Nella generale repressione dei moti rivoluzionari che seguì il fallimento della Prima guerra d’indipendenza, e che nello stesso Regno, dopo l’abdicazione di Carlo Alberto sconfitto a Novara dall’Austria, vide un episodio odioso, e nascosto in tutti i libri di storia, come il sacco di Genova, lo Statuto non venne revocato, a differenza di varie altri costituzioni concesse dai sovrani nel momento del pericolo e tolte ad agitazioni sconfitte. Ebbe invece mod di evolvere invece in uno strumento permanente e fondamentale, applicato anche al regno d’Italia quando questo fu proclamato il 17 marzo 1861; e così accadde anche per il sistema parlamentare bicamerale, cui ben presto, già con Cavour, nei fatti finirono per rispondere i governi, pur in teoria responsabili solo di fronte al Re. Essendo modificabile con legge ordinaria, a differenza della Costituzione della Repubblica Italiana di un secolo dopo, lo Statuto detto Albertino dal nome del sovrano che lo aveva firmato era anche uno strumento, a modo suo, flessibile, e piegabile ad interpretazioni. Di tale caratteristica, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, a lungo non si abusò più di tanto; alla fine fu il regime fascista, con l’assenso di un distratto e complice Vittorio Emanuele III, ad aggiungervi una serie di punti di suo gradimento a pezza giustificativa dello Stato totalitario. Era stato fra l’altro sempre Mussolini a rimarcare per legge, nel 1925, di non essere responsabile di fronte a quel Parlamento che aveva già umiliato con il famoso discorso del 3 gennaio che segna l’avvio della sua dittatura.

La strada per la Costituzione Repubblica del 1948, cent’anni dopo quel primo Statuto, fu lunga e irta di difficoltà. Lo Stato regio.fascista si dissolse letteralmente nel 1943 con la disfatta bellica e la duplice occupazione, nazista e angloamericana, del Paese conteso e percorso da eserciti, in preda alla guerra civile tra la Resistenza partigiana, vera matrice della Costituzione, e il fascismo morente e più feroce che mai. Si avviò un periodo transitorio, detto della luogotenenza, in cui l’autorità fu condivisa fra l’erede al trono Umberto II, che cercava di salvare il salvabile del disastro ereditato dal padre, e i risorti partiti democratici riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, quindi nell’Assembea Costituente. Fu dalle file di questi partiti che emersero gli intellettuali e combattenti antifascisti che diedero forma all’attuale Carta costituzionale, ispirata, più che ai contenuti del vecchio Statuto, a quelli della Costituzione della Repubblica Romana del 1849 (sfortunato esperimento, represso con le armi, che ebbe Mazzini tra i suoi leader e Garibaldi per difensore), per i tempi davvero rivoluzionaria nella sua laicità democratica. La Costituzione della Repubblica italiana del 1948 fu concepita come difficile da modificare, rigida, prescrittiva, analitica; basata su un ampio compromesso tra i partiti politici; democratica e repubblicana, nell’affermare che la sovranità appartiene al popolo, non più alla persone di un re ormai esautorato dal popolo stesso, con il referendum del 1946; laica, non essendo pù lo Stato, almeno formalmente, confessionale; con un’enfasi sulla dignità del lavoro laddove prima si privilegiava la proprietà; e sull’internazionalismo e la collaborazione tra le nazioni, mentre priva vigeva supremo l’interesse del singolo Stato. La sua attuazione è un processo che si è protratto nei decenni, con difficoltà, e che si traduce oggi in una difesa a denti stretti, in un clima politico ormai decisamente ostile ai principi ispiratori.

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Pubblicato il 04 Marzo 2011
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