Farioli: “Il mio sogno era fare lo psicanalista”

Il sindaco racconta la propria formazione e anticipa che sta pensando seriamente al matrimonio. Della sua città dice: "Amo Busto e mi prendono anche in giro per questo"

farioli«Dopo trent’anni di politica sono rimasto me stesso». Gigi Farioli è una di quelle persone che non passa di certo inosservata. E non lo si deve solo alla sua imponente stazza, ma ad una esuberanza, a volte un po’ oltre il limite, legata alla sua passione. Resterà alla storia la foto con la maglia alzata a far vedere il proprio ombelico all’arbitro.

«Iniziamo con una notizia vera, – si solleva dietro un cumulo di carte depositate sopra la sua scrivania – è probabile che a breve convoli a nozze». La butta lì, all’improvviso anticipando una serie di domande personali per scoprire come mai, lui che non perde occasione per ribadire le radici giudaico cristiane di Busto Arsizio, sia ancora uno “scapolone d’oro”.
«Nulla succede per caso. E come dice il cardinal Biffi, “il caso è la forma delicata della Provvidenza”. Allora avrà un senso se io sono nato lo stesso giorno, il mercoledì, e la stessa data di Dante Alighieri».
 
Cosa c’entra con il matrimonio?
«C’entra eccome perché la mia condizione dipende dalla mia formazione scolastica e umana. Devo molto al mio maestro elementare Tiziani che mi instillò l’amore per la ricerca e per la lingua. Da lì la mia passione per gli studi classici. Ho preso la maturità al Crespi con una tesina di filosofia sul rapporto tra Freud e il disagio della civiltà. Poi mi sono iscritto a medicina e ho fatto diversi esami, ma senza laurearmi. Il mio sogno da grande era quello di fare lo psicanalista, e invece sono rimasto uno psicopatico che vive in un mondo di nevrosi».
 
farioliDa dove arriva questa passione per Freud?
«Da un lavoro di introspezione soprattutto durante gli anni adolescenziali quando si passa molto tempo a farsi domande sul senso della vita e sulla sofferenza dovuta all’abbandono della fanciullezza. Kieerkegaard affermava che occorre superare l’estetica della giovane età per assumere quella etica. L’individuo etico ha una sicurezza che, a chi vive solo esteticamente, manca del tutto. Chi vive esteticamente attende tutto da fuori. La mia passione per la politica ha anche una componente di sublimazione della paternità. Poi nel fare il sindaco questo si accentua ancor di più».
 
Questo però non è una risposta al non aver costruito una sua famiglia…
«Ho sempre avuto paura di assumere una responsabilità etica. Poi la vita è fatta di incontri e io non mi sono mai aperto fino in fondo. Per la prima volta adesso mi accompagno in modo evidente e continuativo con una donna che ha avuto una grande sensibilità e spirito di sopportazione. Io so bene che sono interessante per poco tempo, mentre divento insopportabile nella quotidianità».
 
Come si chiama questa signora?
«Elena. Siamo insieme da circa tre anni e non ho una data certa perché la relazione, come ero solito vivere, non è nata con un colpo di fulmine, ma nella progressiva conoscenza ed amicizia. Per me è paradossale perché ho sempre avuto bisogno del colpo di Cupido, e forse è in questo diverso modo di avviare la storia che sta il segreto di questa storia».
 
farioliCom’è la sua famiglia di origine?
«Sono figlio di due piccoli imprenditori. L’azienda di mia mamma costruiva macchine utensili e quella di mio papà operava nel settore tessile. Sono cresciuto al rumore del telaio e della navetta. Siamo tre figli, ho un fratello maggiore laureato in fisica nucleare e una sorella minore in matematica e informatica».
 
Lei è sempre stato molto legato a Busto. Da dove nasce questa passione per la sua città?
«Mi hanno spesso preso in giro e quando ero capogruppo in consiglio regionale mi dicevano che secondo me Busto era l’ombelico del mondo».
 
Cosa ci trova di così bello?
«La straordinaria qualità e vitalità dei suoi abitanti e delle associazioni. Busto è molto contraddittoria perché ha una grande capacità di tenere i piedi ben piantati per terra, ma sa anche guardare oltre gli interessi della propria famiglia per donarsi agli altri. Esprime un po’ di paternalismo, ma insieme ha avuto grandi uomini come Bruno Tosi, Roberto Ferrario, Enrico Dell’Acqua e Annibale Tosi, solo per ricordarne qualcuno. Questi avevano la capacità di guardare lontano senza dimenticare il proprio vicino».
 
E cosa le piace di meno di Busto?
«Una forma un po’ incauta di chiudersi eccessivamente nel proprio guscio e nel non saper valorizzare la grandezza del proprio impegno. Una sorta di pudore che farebbe pensare al successo come una forma di peccato e non un merito da condividere con gli altri. Oltre a questo non mi piace anche il fatto di non saper essere orgogliosi della propria città».
 
Quali sono stati i suoi maestri?
«Luigi Einaudi ed Enrico Dell’Acqua. Il presidente della Repubblica era il mito del mio liberalismo fatto non di laicismo, ma di religiosità. Non solo filosofia, ma anche  attenzione alle questioni economiche. Lui, ancora in giovane età, scrisse un libro su Enrico Dell’Acqua che resta un vero esempio di imprenditore bustocco. Un uomo con i piedi per terra ma capace di sognare. Sono orgoglioso di aver potuto celebrare il suo centenario. Molti giovani si stanno avvicinando a questo grande personaggio che è stato l’inventore ante litteram del marketing e del franchising. Sapeva superare i momenti davvero difficili e  sosteneva che nessuno è un buon comandante o marinaio se dopo aver goduto nei momenti buoni si dimenticasse dei propri collaboratori. Era convinto che quando i venti sono contrari per l’imprenditore la tentazione di rientrare al porto è forte, e invece è allora che occorre issare le vele e andare verso il vento».
 
farioliDurante la sua amministrazione lei ha incontrato il fratello di Peppino Impastato ucciso dalla mafia e pochi mesi fa ha voluto ricordare il sindaco di Pollica assassinato per il proprio impegno contro la camorra. Da dove viene questa attenzione?
«Credo che il rischio più grande che corriamo è quello della freddezza del nichilismo e l’abbandono delle passioni. Molti hanno condannato il secolo scorso per le ideologie, ma peggio è quello che ho appena detto. Ho ricordato queste figure perché credo che le date storiche vadano vissute non come momento di ricorrenza, ma vere occasioni di crescita della comunità. Il pluralismo è una ricchezza e se tutti avessimo delle passioni il mondo sarebbe migliore. Il ricordo di Angelo Vassallo lo devo a Luciano Cimmino, patron della Yamamay. Lui scrisse una bellissima lettera in cui ricordava il sindaco che era un simbolo del possibile riscatto del Sud. Perdere la speranza lì significa correre il rischio di perderla in tutto il Paese».
 
farioliCome è nata la passione per la politica?
«Sui banchi del liceo. Ero un eretico perché allora, negli anni Settanta, c’era una grossa radicalizzazione tra sinistra ed estrema destra. Io mi scoprii liberale, e da allora iniziai a professare queste mie idee. Nello stesso periodo non pensavo solo alla politica perché ero un discreto giocatore di pallavolo. In ogni caso alcuni liberali, ed eravamo davvero pochi, mi avvicinarono proponendomi di candidarmi. Era il 1980 e arrivai terzo nelle liste del Pli in consiglio comunale. Nello stesso partito c’era Francesco Speroni che si piazzò al quindicesimo posto. Mi presentai alle politiche del 1983 e sempre per i liberali alle comunali del 1985 e venni eletto. Da allora non ho mai abbandonato l’assemblea comunale. Nel 1993 fui rieletto ma con una lista civica che poi confluì in Forza Italia. Nel 1995 divenni consigliere regionale e poi capogruppo sempre degli azzurri». 
 
Come mai si ricandida?
«Perché sono stati cinque anni grandiosi e dobbiamo concludere tanti progetti. Non farlo sarebbe stato da una parte interrompere un’emozione e dall’altra un venir meno a un impegno verso me stesso e la mia città».
 
farioliSi, ma nella sua stessa maggioranza c’è stata un po’ burrasca e la Lega voleva andare da sola annunciando addirittura una candidatura ufficialmente…
«Non poteva andare diversamente e avevo detto che era uno scherzo. Del resto la base leghista era preoccupata perché non avrebbe capito le ragioni del far prevalere gli interessi particolari di bottega su quelli generali della città. In ogni caso, come sempre, ha vinto il buon senso».
 
Le sue passioni oltre la politica?
«Il cinema, la lettura, la Juve, la Pro Patria e la pallavolo. Sogno Busto capitale del Volley femminile e in autunno ospiteremo gli europei. Quanto al cinema, una volta andavo a Cannes e Venezia, adesso posso anche restare nella mia città grazie al BAFF e da tre anni abbiamo anche la scuola superiore di cinematografia intitolata a Michelangelo Antonioni».
 
A proposito di Pro Patria, lei in un’accorata lettera a Pattoni, attuale proprietario della squadra, scrisse “se ne vada, avrà l’onore delle armi e recuperato anche una dignità che a torto o ragione molti non le riconoscono”. Che significa?
«Questa è una dimostrazione di un lato negativo della città che vorrebbe continuare a far vivere alcuni simboli senza mettersi in gioco fino in fondo. È la prova della decadenza di alcuni sport come il calcio che dovrebbero lavarsi i panni sporchi al palaYamamay. Per la Pro Patria ho fatto il possibile spendendomi anche oltre il limite, ma non so quanto ne valga la pena salvare questo calcio. Questo non vale per i settori giovanili».
 
I giovani… Lei e Internet non andate tanto d’accordo?
«Sono carta, penna e calamaio, ma non posso isolarmi dal mondo e cercherò di imparare».

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Pubblicato il 07 Aprile 2011
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