Vema srl, i vestiti più amati dai giapponesi

Un laboratorio artigianale a Bizzozero, 8 dipendenti e clienti in tutto il mondo dalla Russia alla Cina. La famiglia Vedani da oltre mezzo secolo propone maglieria di alta qualità. Le televendite giapponesi delle loro creazioni fanno il tutto esaurito in pochi minuti

Se vi capita di andare a Tokyo, una tappa obbligata è l’Isetan Mitsukoshi, considerato il più elegante centro commerciale del mondo, una sorta di Rinascente giapponese, tanto per dare un termine di paragone. L’ultimo piano di questo storico edificio è riservato ai prodotti di altissima qualità, tra i quali ci sono anche i vestiti della Vema srl, made in Varese. E se tornando in albergo decidete di fare un po’ di zapping sui canali della tv giapponese, vi può’ capitare di imbattervi in una televendita sul network Qvc, dove il made in Italy va letteralmente a ruba, comprese le creazioni del laboratorio artigianale di Bizzozero che fanno il sold-out nel giro di pochi minuti, nonostante i prezzi non siano proprio a buon mercato a causa del cambio euro-yen.
Questo piccolo miracolo italiano continua da oltre mezzo secolo, per la precisione dal 1957, anno in cui Agostino Vedani decise di far coincidere il suo amore per l’arte e la bellezza con la produzione artigianale di maglieria. Oggi al timone dell’azienda, che dà lavoro a 8 persone, c’è il figlio Raffaele che ha respirato «aria di stracci» –  così li chiama lui – fin dalla nascita.

Raffaele, da Bizzozero a Tokyo non è proprio una passeggiata. Come siete arrivati a quel mercato?
«In realtà già in passato eravamo presenti in Giappone, ma poi l’avevamo perso perché lavoravamo con le trade company (intermediari commerciali ndr) che avevano costi troppo alti. Quattro anni fa ci sono ritornato, ho partecipato alla manifestazione We love moda in Italy e ai nostri clienti di un tempo non sembrava vero di avere lì il signor Vema in carne ed ossa e non un intermediario. La nostra è una vocazione all’export: abbiamo iniziato con alcune creazioni per la Bayer farmaceutica, poi abbiamo esportato molto in Germania fino all’unificazione e negli Usa. La svalutazione della lira ci aiutava molto e così ogni volta tornavo dai miei tre clienti di New York pieno di ordini. Negli ultimi anni siamo rientrati sul mercato europeo, in particolare Francia, Belgio e Svizzera. Prima del 2007 fatturavamo circa 2 milioni di euro e il mercato interno rappresentava il 50%, ora siamo scesi al 10% e il fatturato complessivo si è dimezzato».

E in Cina non è andato?

«Certo, tre anni fa. Sono rimasto sconvolto dalle potenzialità di quel Paese. Ma vendere vestiti ai cinesi è come tentare di vendere frigoriferi agli eschimesi. Con loro bisogna stare più attenti perché, a differenza dei giapponesi, che sono corretti, ordinati e hanno una trasparenza di fondo, i cinesi sono commercianti da millenni, prima viene l’affare e poi tutto il resto. Comunque, ho partecipato a due fiere e ho portato a casa ordini importanti».

Raccontata così sembra facile.
«Non è per niente facile, perché bisogna conoscere molto bene quella cultura. Ma partiamo dalla considerazione più importante: all’estero impazziscono per il made in Italy. Il vero problema per le imprese italiane è rappresentato dal sistema paese che non funziona e quindi noi andiamo sui mercati esteri tentando l’avventura, senza un vero supporto. La Germania, ad esempio, è presente in Cina da oltre 30 anni e il loro tessile lo fanno tutto lì. Gli imprenditori però non ci sono arrivati da soli ma erano accompagnati dai rappresentanti del loro governo. Non è un caso che sulla Grande Muraglia ci sia una targa dove si ringraziano i tedeschi e la Henkel per la partecipazione al restauro dell’opera più rappresentativa della Cina».

E l’Ice, l’agenzia governativa per la promozione delle imprese italiane all’estero è di aiuto agli imprenditori?
«Dipende, in alcuni casi posso dire di sì, per efficienza e professionalità, in altri l’esatto contrario, perché mi sono trovato di fronte a carrozzoni inutili. Ciò che mi è stato di aiuto sono state le missioni della Camera di Commercio all’estero, l’attività di Provex, il consorzio varesino per l’internazionalizzazione, e i contributi per partecipare alla fiere che per un piccolo imprenditore sono importanti. Io ne faccio sei: da Tokyo a Seul, da Pechino a Dussedorlf, passando per Mosca e San Pietroburgo. Essere presenti alle fiere è importante, altrimenti pensano che sei morto».

Una volta che è tornato con gli ordini dalla Cina, la sua banca le ha dato credito?
«Io mi appoggio a due banche, una che opera a livello nazionale e l’altra più radicata sul territorio. Ma quando ho chiesto a quest’ultima un fido per far fronte a una commessa di 300 mila euro, la reazione è stata negativa perché si trattava di un unico cliente e quindi il rischio era molto più alto. L’altra, invece, mi ha dato fiducia».

Avere a che fare commercialmente con la Cina significa avere richieste di volumi importanti. La Vema srl è destinata a crescere?
«No, penso che la vera via sia crescere insieme, ovvero le reti di impresa, si può’ mantenere la propria dimensione e al tempo stesso pensare a volumi più grandi il che vuol dire avere anche un potere contrattuale diverso e far fronte a richieste che altrimenti dovresti lasciar perdere. Già oggi noi siamo al limite».

Lei crede ancora alla crisi del tessile, se ne parla ormai da trent’anni?
«Nel tessile le crisi ci sono sempre state, erano un fatto ciclico, ma questa ha caratteristiche strutturali e globali inedite. Il danno maggiore lo ha subìto la filiera che si è sgretolata costringendo i piccoli produttori a ridurre ulteriormente i loro margini. Avere una filiera forte è importante perché ci sono lavorazioni che all’estero e soprattutto i cinesi non sanno proprio fare e quindi per noi diventano strategiche, parlo ad esempio del finissaggio e della stampa dei tessuti, dove gli italiani sono considerati dei maestri. Non è un caso che a noi i cinesi, oltre ai capi finiti, ci chiedano anche tessuti stampati per poter confezionare a loro volta».

Che cosa vuol dire per lei essere un artigiano?
«Creare un prodotto avendo cura dei minimi particolari e verificarlo personalmente in ogni passaggio, dal tessuto alla confezione. Se diventi un’industria questo processo di verifica esce dalla sfera di controllo dell’imprenditore».

Se venisse un cinese e le chiedesse di vendere la sua azienda, che cosa risponderebbe?
«È già successo, prima del 2007, e ho rifiutato».

Oggi rifiuterebbe?
«… (sorride ndr) Non saprei».

L’IMPRESA DELLE MERAVIGLIE
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Scheda dell’impresa

Maglificio Vema srl
Via Ruggero Settimo n. 7
21100 Varese
tel. 0332390003
email info@maglificiovema.it
www.maglificiovema.it

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Pubblicato il 26 Settembre 2014
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