Alla Liuc si fa l’Europa
In questi giorni ha ospitato il meeting annuale del PRIME un network internazionale composto da 20 università. Gli studenti formano team di ricerca e si sfidano in una competizione dalle regole ferree
«È incredibile, qui alla Liuc gli studenti seguono le lezioni negli stabili di una ex fabbrica di cotone. E se guardano fuori dalla finestra possono vedere quella magnifica ciminiera». Jean Lecocq è un professore belga, arriva dall’École polytechnique di Bruxelles, un centro universitario dedicato al trasferimento tecnologico e all’innovazione. Non è il solo ad aggirarsi tra le aule dell’ateneo di Castellanza mostrando stupore e ammirazione per questa strana connessione tra passato produttivo e presente accademico. Ce ne sono almeno una trentina che provengono da diverse università europee (Lituania, Portogallo, Norvegia, Finlandia, Grecia, Germania, Scozia, Spagna, Svezia, Olanda, Lettonia, Norvegia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca). E persino due dal nuovo mondo (Usa e Colombia). Fanno parte di Prime , sigla che sta per “Professional Inter-university management for educational networking”, un network accademico internazionale. Da quattro anni anche la Liuc è entrata a farne parte ed è l’unica università italiana presente.
Per la prima volta l’ateneo di Castellanza ha ospitato nella propria sede il meeting annuale di Prime per la programmazione in vista di Euroweek che si terrà all’università di Coimbra in Portogallo la prossima primavera. In quell’occasione i vari team, formati da sei studenti e provenienti da diverse università, presenteranno le ricerche e i progetti sviluppati durante questi sei mesi su un macrotema ogni anno differente (nel 2015 era “Creativity and Entrepreneurship”), sfidandosi in una vera e propria competizione dalle regole ferree.
«Prime è una rete di università – spiega Giacomo Buonanno, ordinario alla facoltà di ingegneria gestionale alla Liuc – con professori che provengono da varie scuole: ingegneria, chimica, scienze della comunicazione, economia e business, innovazione ma sviluppate con dinamiche diverse, proprio perché diverse sono le provenienze. È un modo interessante di confrontarsi con una realtà internazionale e per gli studenti è l’occasione per sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, in un ambiente multiculturale e con abitudini spesso radicalmente diverse».
A ciascuno il suo – Al netto dei luoghi comuni, gli italiani sono creativi, gli americani maghi della comunicazione, il belgi tecnologici, gli svedesi teoretici fino allo sfinimento. Proprio quello che ci vuole per assemblare team di ricerca sulla base di competenze e caratteristiche diverse. Le idee migliori ottengono il lasciapassare per la discussione finale che si tiene solitamente tra aprile e maggio all’Euroweek e agli studenti vengono riconosciuti crediti formativi. È dunque la spiccata interdisciplinarietà a caratterizzare questa esperienza. «Il network è anche l’occasione per fare fare stage formativi mirati in più università – aggiunge Luca Cremona, docente di sistemi di elaborazione dell’informazione alla Liuc -. Per esempio, un ragazzo francese che proveniva da una facoltà di ingegneria meccanica, partecipando a un team di Prime ha conosciuto la Liuc dove ha trovato il terreno adatto per sviluppare un progetto per la deambulazione dei soggetti autistici. Lo studio teorico per l’applicazione di sensori a un plantare anatomico e il relativo design è stato fatto qui da noi. Smartup, il nostro laboratorio di stampa 3D, e l’institute for entrepreneurship and competitiveness, per fare due esempi, sono serviti per sviluppare alcune ricerche».
Fatta l’europa bisogna fare gli europei – Il Prime, che esiste da oltre vent’anni, ha un’esperienza consolidata e le università che ne fanno parte si considerano una grande famiglia. «Questa è una rete vera dove tra gli addetti ai lavori si parla dell’Europa come un contesto unico in cui collaborare – conclude Buonanno – e questo trascende tutti i discorsi un po’ nazionalistici che sentiamo fuori da questi ambienti. Per tutti quelli che fanno parte della rete c’ è la percezione netta che l’arena non è locale ma europea se non mondiale. Un’esperienza molto formativa per i nostri studenti perché affrontano quello che si troveranno ad affrontare nel mondo dopo la laurea».
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