Gli ultimi lampi di Fausto Coppi, sulle strade di Lugano e Varese

Cento anni fa nasceva il Campionissimo. Lo ricordiamo raccontando le imprese dell'ultimissima parte di carriera, raccontate da un "coppiano" DOC, il giornalista varesino Cesare Chiericati

fausto coppi

(d. f.) Cento anni fa nasceva Fausto Coppi, uno dei massimi simboli dello sport italiano e del ciclismo mondiale. Di lui ci parla Cesare Chiericati, giornalista varesino e “coppiano” di ferro, che ebbe l’occasione di fare il tifo per il Campionissimo in occasione di alcune gare disputate nella nostra zona. E proprio sulle strade di Lugano e di Varese – come ci racconta Cesare, anche con alcuni spunti autobiografici – Coppi regalò alcuni degli ultimi lampi della sua immensa classe.

Nel centenario della nascita di Fausto Coppi, 15 settembre 1919,  piovono, come è normale che sia, rivisitazioni delle sue imprese sportive, della sua clamorosa vita privata e della sua morte assurda, a soli quarant’anni per un banale malaria non diagnostica in tempo. Non molti si soffermano sul finale della sua strepitosa carriera punteggiata dalla sfortuna che non smise mai di perseguitarlo. Nonostante nella seconda metà degli anni ‘50 il declino si facesse sempre più evidente, di tanto in tanto la sua immensa classe tornava a illuminare le strade del ciclismo. La sorte volle che proprio alcune importanti corse prealpine – oggi diremmo insubriche – siano state il palcoscenico di alcune sue ultime memorabili prestazioni non necessariamente coronate dalla vittoria finale.

ciclismo fausto coppi
Coppi conclude da vincitore il GP Campari di Lugano davanti a Graf

LUGANO, IL “CAMPARI” DEL ’56

Dopo un’assenza di un paio di mesi per un infortunio a una caviglia nell’ottobre del 1956 a 37 anni appena suonati, rientrò a Lugano al “Gran Premio Campari” – già “Vanini” – una classica del cronometro cancellata dal calendario internazionale alla fine degli anni settanta come del resto il francese “Gran Premio delle Nazioni”, due competizioni dove si misurava il fior fiore dei cronoman dell’epoca. Il pronostico era avverso al campionissimo: l’anagrafe, il vigore atletico parlavano in favore di Rolf Graf, poderoso passista elvetico di razza. Raggiunsi di buon ora il circuito e mi piazzai sulla salita di Sorengo, punto cruciale di un tracciato sinuoso e ostico che gli atleti dovevano percorrere cinque volte, 77,5 i chilometri da percorrere. Era una domenica lucente che esaltava la scenografica Lugano.

Graf ebbe una partenza folgorante e si mise Coppi alle spalle. Anche lo specialista francese Bouvet e Aldo Moser, il primo della dinastia di Palù di Giovo, lo precedevano. Tutti i coppiani, accorsi in gran numero dal Varesotto e dal Comasco, temettero che sarebbe via via scivolato all’indietro; paventavano che la corsa dominata nel ’51 e nel’52 potesse trasformarsi in un calvario data l’età e le non ancora ottimali condizioni di forma. Invece con ostinata gradualità il vecchio campione, a partire dalla terza tornata, cominciò ad accorciare lo svantaggio. All’inizio dell’ultimo giro sulla linea del traguardo posta ai piedi dell’ascesa a Sorengo accusava ancora una trentina di secondi di ritardo da Graf. Tutto si decise sulle maligne pendenze della salita dove l’elvetico appariva discretamente appesantito. Come attraversato da un lampo di ritrovata giovinezza Coppi – le mani alte sul manubrio, la maglia bianca della Carpano increspata da una leggera brezza – saliva con il passo dei giorni migliori spinto dal suo orgoglio e dall’entusiasmo della folla che si schiudeva al suo passaggio. In vetta lo svantaggio era colmato. Si lanciò nella discesa lungo il laghetto di Muzzano, poi lambì per alcuni chilometri le rive del Ceresio infine l’arrivo trionfale davanti a Graf, battuto di 18”. Nell’ultima tornata gli aveva recuperato oltre 40” in 15 chilometri. Fu la sua penultima grande vittoria che parve esorcizzare le ombre ambigue della decadenza, che allontanava il tramonto, l’oblio.

ciclismo fausto coppi
Coppi e Baldini al “Baracchi” vinto nel 1957

DALMINE, IL “BARACCHI” DEL ’57

L’ultima arrivò l’anno dopo al Trofeo Baracchi del ’57, una cronometro a coppie di 100 chilometri nelle brume novembrine tra Bergamo e Milano. Al suo fianco Ercole Baldini, l’italiano del momento, olimpionico, primatista dell’ora, vincitore di un Giro d’Italia e del campionato del mondo su strada l’anno dopo. Avversari da battere Jacques Anquetil e Dedé Darrigade. Il Coppi vecchio se ne stava rannicchiato dietro la mole di Ercole il quale raccontò che il campionissimo lo invitava a non strappare, a misurare i colpi di pedale in attesa che i francesi pagassero lo sforzo. Cosa che puntualmente avvenne. Di “Baracchi” Fausto ne aveva già vinti tre e ben conosceva le insidie della distanza. Coppi avrebbe dovuto chiudere su quella insperata vittoria, aveva da poco compiuto trentotto anni e alla spalle aveva una carriera dispendiosissima punteggiata da un sacco di incidenti e lutti familiari. Non lo fece forse perché oscuramente avvertiva che il suo destino doveva compiersi in sella. 

ciclismo fausto coppi
Coppi alla partenza della Tre Valli del ’55, la quarta vinta dal campione piemontese. Nella foto, accanto al poliziotto, con una cravatta “regimental”, si vede Cesare Chiericati

VARESE, LA “TRE VALLI” DEL ’58

Seguì nella primavera del ’58 un Giro d’Italia grigio, consumato nel gruppo, a faticare e ad accumulare ritardi sulle montagne che lo avevano visto dominatore. Tuttavia la gente non si staccava da lui, la passione incontenibile si protraeva ben al di là della sua parabola atletica. Gli altri campioni con cui aveva incrociato i ferri si erano quasi tutti ritirati o si apprestavano a farlo, lui no si ostinava a correre. In agosto tornò a Varese per la Tre Valli che aveva vinto ben tre volte (1941’-’47-’55) e che in quella occasione introduceva ai mondiali di Reims. Durante il rito della punzonatura, negli stabilimenti del Burrificio Prealpi di viale Borri, ebbi l’opportunità di accostarlo mentre con scarso interesse osservava un impianto. Timidamente – avevo appena quindici anni ma ne dimostravo qualcuno in più – gli chiesi cosa si aspettasse dalla corsa del giorno seguente. Mi guardò incuriosito per un attimo poi rispose a bassa voce: «Non posso sperare di vincere, mi basta fare bella figura perché vorrei correre l’ultimo mondiale della mia carriera, la salute c’è ma non ho più molta potenza nelle gambe». Mi sembrò di aver toccato il cielo con dito, avevo parlato col campione amatissimo e sempre sognato, un fatto inimmaginabile, un ricordo indelebile da custodire.

Il giorno seguente disputò una Tre Valli da protagonista. Sul Sasso di Gavirate, esattamente all’altezza degli impianti della Ignis, andò, con un’imperiosa progressione, in testa al gruppetto che inseguiva il carneade Nicolo (poi vincitore) cui il gruppo aveva concesso troppo spago. Il ciglio della strada parve incendiarsi, la folla era ancora una volta tutta per lui. Alfredo Binda lo inserì ovviamente nella squadra azzurra dove, in veste di capitano, fu il regista in corsa del trionfo di Ercole Baldini. L’anno seguente, il’59, trascorse tra circuiti, kermesse, qualche classica, lunghi periodi di riposo e allenamenti forsennati inseguendo una condizione ormai negata dall’anagrafe.

LUGANO, IL “CAMPARI” DEL ’59

Poi ai primi di ottobre di nuovo il “Campari” nella città, Lugano, del suo mondiale (1953), dove Giulia Occhini, la dama bianca di Varano Borghi, si era per la prima volta manifestata in pubblico sul palco della premiazione. Si difese strenuamente. Mi pare di rivederlo in piedi sui pedali nella stretta curva all’attacco della salita di Sorengo. Lo sguardo lontano, gli occhi leggermente iniettati di sangue, mascherava lo sforzo con lo stile. I tre anni trascorsi dall’ultimo successo luganese avevano scavato un abisso nella sua declinante giovinezza. Eppure Jacques Anquetil, il giovane fuoriclasse normanno favoritissimo della vigilia e amico di Fausto aveva respinto la proposta degli organizzatori di fare partire per ultimo il campionissimo. Uno sgarbo? No, solo rispetto per il più grande di tutti che in qualche modo ancora temeva. Fu quarto entusiasmando di nuovo l’immensa folla presente. Quell’ultima competizione votata a sconfitta sicura, restituiva, al netto delle polemiche e degli scandali bigotti e strumentali, il Coppi vero, umano, solo, taciturno impegnato nel disperato tentativo di respingere il tempo. Quel “Campari” fu il suo vero passo d’addio. Nessuno poteva supporre che di li a qualche mese (2 gennaio 1960) si sarebbe congedato dalla vita.

di
Pubblicato il 14 Settembre 2019
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.