“Sfizzi della Vita”, un’altra impresa d’arrampicata made in Varese

Tommaso Salvadori, Tommaso Lamantia, Gianluca Zambotto e Claudio Castiglione hanno completato la salita sulla parete Nord/Est del Pizzo Fizzi, in uno degli angoli più silenziosi e solitari dell’Alpe Devero: il loro racconto e le considerazioni (polemiche sul futuro delle nostre montagne)

Durante l’estate 2019, Tommaso Salvadori, Tommaso Lamantia, Gianluca Zambotto e Claudio Castiglione hanno completato la salita di “Sfizzi della Vita” 390m 6b+ max e 6b obbl, sulla parete Nord/Est del Pizzo Fizzi 2760m in uno degli angoli più silenziosi e solitari dell’Alpe Devero.  Ecco il racconto di Tommaso Salvadori, tutto da gustare

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“le scure acque del lago, una breve, piccola, suggestiva valle, una povera baita addossata a un ciclopico masso e, disegnata nel cielo, una grande muraglia innalzante una tregenda di greppi. E sono le vette del Fizzi, del Crampiolo sud, della Walter e del Grampielhorn. Unica cornice spiccatamente romantica che apre allo sguardo un estremo lembo di Devero: la Val Deserta”.

Così Luciano Rainoldi nella sua guida del 1976 descrive la Val Deserta e nulla da allora è cambiato. Ci entrai la prima volta nel 2016 con Jimmy e Giacomo e aprimmo su una parete posta proprio al suo ingresso “Ciao Tico” e l’anno successivo “Deriveapprodi”.

Entrambe su uno gneiss perfetto e ricco di fessure. Nonostante la vastità e grandiosità del luogo il mio sguardo cadeva sempre sulla Nord/Est del Fizzi, soprattutto al mattino quando il suo serpentino rosso si infiammava baciato dai primi raggi del sole e lo faceva emergere in tutta la sua eleganza e slancio. Una sera Claudio mi invitò da lui a cena per parlare del progetto e studiare una possibile linea di salita. Gli sottrassi la guida del Rainoldi con la promessa di restituirgliela alla fine, non avrei mai immaginato che sarebbe stata, per una serie di motivi, per due anni sul mio comodino turbandomi o facendomi sognare a seconda dei periodi.

La Storia

Il 27/07/1955 Dino Vanini e Armando Chiò scrivono una delle pagine più belle e avvincenti delle salite sulle montagne di Devero, salendo per la fessura centrale che solca il becco finale del Pizzo Fizzi: “Salendo alla sinistra della Val Deserta, per roccette viscide e friabili si arriva alla base della parete vera e propria che si innalza per un centinaio di metri. Qui si trovano due fessure parallele : attacchiamo quella di destra che ci sembra la più buona ed è più stretta dell’altra dai 10 ai 20 cm. La prima lunghezza di corda e abbastanza difficile non essendoci la possibilità di piantare chiodi. Solo a metà si riesce a piantare un chiodo abbastanza sicuro in un masso incastrato nella fessura e che dobbiamo poi lasciare sul posto. A circa tre quarti della salita la pendenza diminuisce pur mantenendo notevoli difficoltà sino agli ultimi quattro o cinque metri dalla vetta che sono i più facili”. Del Fizzi non si parlerà più fino al 2008, anno nel quale Paolo Stoppini ed amici, però sulla parete sud, aprono “Amico Barba Bianca”, 1000m 27 tiri di corda 6a+ max e 5c obbl. E nel 2016 “L’uomo con le Ali” 400 m 11 tiri 6b max e 5c obbl. dedicata a Oliviero Bellinzani, alpinista varesino mancato nel 2015.

Anno 2017 – Inizia il progetto

E’ il 2017 e con Claudio decidiamo di iniziare il progetto. Partiamo molto presto e con molto materiale sapendo che il viaggio in parete non sarà molto lungo. L’avvicinamento in effetti è molto faticoso sopratutto l’ultima parte fuori sentiero e con un dislivello non indifferente. Apriamo però i primi tre tiri e lasciamo nel nostro bidoncino ermetico tutto l’occorrente per continuare. Il cielo si copre e mentre scendiamo ripuliamo la via e verifichiamo le doppie. Inizia a piovere ma ormai siamo all’Alpe Val Deserta e da lì a Devero nonostante le quasi due ore il sentiero e la strada sono in ottimo stato. In compenso Claudio mi martella per il secondo tiro che appena sopra la sosta presenta un passo obbligato, ribattezzato da noi passo del “Castiglia”, viste le difficoltà per superare quel tettino…Dopo questa prima uscita capiamo diverse cose. Non sarà una salita veloce, bisognerà stare molto attenti in parete alle cose mobili e soprattutto il meteo per salire dovrà essere super stabile. Nonostante i buoni propositi proviamo nelle settimane successive a continuare, anche grazie all’aiuto di Jimmy, ma i tentativi naufragano la prima volta per la pioggia e la seconda per un vento gelido, così decidiamo, anche per non correre rischi, di riportare a casa tutto il materiale. Non poco.

Anno 2018 – Stop

Il 2018 dovrebbe essere l’anno buono, peccato che in primavera il mio ginocchio inizia a dare problemi. Ho in mano un biglietto aereo per Tirana dove andremo ad aprire delle vie nella regione inesplorata del Kelmend e una risonanza magnetica che mi dice “rottura del corno del menisco mediale”. Morale: stringo i denti, partiamo e apriamo “L’uomo semplice”, una piccola falesia e appena rientrato mi opero. Ma l’estate per una serie di complicazioni passa e il Fizzi viene ancora ricoperto dalla neve.

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Anno 2019 – L’atto finale

Mi suona il telefono: è Claudio che sta tornando da Finale Ligure, è primavera, dice che è stato a fare il traverso di capo Noli, peccato che saltando il guardrail per prendere le doppie il suo ginocchio ha fatto crack. Ahi…le maledizioni delle ginocchia ci perseguitano! In compenso quest’inverno a una sua serata dove amici comuni ci hanno fatto incontrare, conosco Tommaso Sebastiano Lamantia, fotografo, designer, arrampicatore, alpinista esploratore, tecnico del Soccorso Alpino. Ora, non so come spiegarlo ma ho sentito subito con lui un feeling particolare forse per il nome comune, per gli interessi comuni, per l’energia che sprigiona, fatto sta che ci ripromettiamo di sentirci per progetti futuri. In compenso l’allenamento in palestra con Nick e Gian è andato bene. Gianlu è figlio del mio amico Lucio, con il quale scalo da vent’anni, e oltre ad essere giovane ha una passione esagerata e molti margini di miglioramento, mi dice che gli piacerebbe provare ad aprire…Faccio la somma: Tommy + Tommy + Gian + Claudio (mezzo servizio) e la portiamo a casa. A luglio con Gian, per allenarci, andiamo a chiudere un altro vecchio progetto in Val Agaro, e mi stupisco subito delle sue capacità e tranquillità in apertura per essere la prima volta. Mi ricorda un sacco il Teo alias Matteo Della Bordella la prima volta che aprimmo insieme e mise il suo primo fix in Codera…se il buon giorno si vede dal mattino! In due uscite nelle quali anche Lucio ci mette del suo, finiamo “Ul Balurd d’Agher”.

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Visto le esperienze passate facciamo un programma “Fizzi”. Salire la prima volta e portar su tutto alzandosi il più possibile e tornare una seconda e chiudere i conti. Escludiamo il dormire in parete o all’Alpe Val Deserta. Barattiamo un pò di comodità e carichi minori da trasportare però alzandoci molto presto e rientrando molto tardi. Alla prima uscita siamo io, Claudio e Gian partiamo alle 4. In tre ore siamo sotto la parete, ripetendo il primo tiro Claudio nel diedro stacca un sasso che per istinto devio con uno schiaffo di rovescio…mi dico “iniziamo bene”…Verso le 11 Gian parte per il quarto tiro, uno spettacolare diedro fessurato che dopo 25m finisce e dà accesso alla parte superiore. Con altri tre tiri tra fessure e placche la giornata termina sotto una prua strapiombante molto estetica a lato della fessura “Vanini”. Lasciamo tutto e iniziamo a scendere, le doppie sono molto delicate e anche la discesa a piedi lungo la pietraia non è proprio agevole però verso le 21 siamo all’Alpe Devero, mangiamo un boccone e beviamo un paio di medie e a mezzanotte siamo a casa. Il week end successivo vorremmo provare a chiuderla ma il tempo non è stabile così rinviamo, Claudio provato per lo sforzo dell’uscita precedente con grande eleganza e umiltà ci dà il benestare per andare senza di lui. Il prossimo weekend è quello buono. Io dal canto mio passo una settimana a Milano in ginocchio con un caldo tropicale a restaurare un pavimento intarsiato.

Vorrei fare di tutto nel week end ma non trascinarmi su per il Fizzi. Però come spesso succede per tutti noi, la passione fa superare ogni ostacolo o difficoltà, anche nel caso di Gian che si presenta a casa mia all’1 di notte in post sbronza da matrimonio. Alle 4 lo sbatto giù dal letto e raggiungiamo il Tommy, è domenica 25 agosto. Più rapidi e leggeri risaliamo e scaliamo fino al punto più alto, Gian si supera e chioda l 8’ tiro tanto bello quanto obbligato con un’uscita in placca che come dice lui “gli fa fare un viaggio mistico”….proviamo a recuperare il saccone visto che per metà tiro la corda di servizio penzola nel vuoto, e infatti sale, peccato che entrato in una fessura smuove sassi che precipitano 5/6 metri lontano da noi, ma è sufficiente per farci prendere un bello spavento. Salendo dico a Gian di bloccare e penzolo verso la fessura “Vanini” in questo punto a pochi metri alla nostra destra, alla ricerca del suo chiodo, di un cordone, ma non scorgo nulla. Mi impressiona pensare che lì nel 1955 due visionari siano saliti in un ambiente così intatto e isolato con scarponi e tanto coraggio. Mandiamo avanti il Tommy, le fessure viste nelle foto sono veri e propri camini, e lui con delicatezza sale e si protegge usando pochissimi chiodi. Noi dietro risaliamo e buttiamo giù di tutto, tanto che il nevaio alla base sembra ormai un gruviera! L’ultimo tiro lo porta proprio in cima e quando anche noi arriviamo ci abbracciamo e iniziamo a fare ogni genere di battuta sui massi che la compongono. Si muovono e sono grandi come macchine, giocano con la gravità o meglio con l’equilibrio, uno scherzo della natura e un’icona della precarietà. Sono le 17.08. Non ci credo, mi suona il telefono, è mia moglie che mi chiede a che punto siamo? Visto che c’è campo mando un messaggio a Claudio e avviso lo Stoppini che iniziamo a scendere. Le doppie fortunatamente corrono bene anche se dalle cenge qualche sasso si muove, però tutto va per il meglio. Ora scendiamo a piedi ma a questo punto, vista anche la luce che ci resta procediamo sulle ali dell0entusiasmo. Alla diga lo Stoppi ci sta aspettando ed è felice con noi, apre una bottiglia di birra fatta da lui, del formaggio e il pane che ha fatto al mattino per festeggiare. Sua figlia gli sta francobollata tutto il tempo. Respiriamo aria di casa e di festa, parliamo di vie nuove, vecchie, di progetti e il tempo passa. Vorremmo restare, ma ci manca ancora un’oretta a piedi e il resto in auto. Però non ci dimenticheremo mai di questo momento, e di questo “sfizzio” che ancora una volta ci siamo tolti e che continuerà a vivere nella solitudine e nel silenzio di questa splendida cima. Dopo le vie dedicate a persone scomparse lasciamo dietro di noi questa impronta di vita.

“Sfizzi della Vita”, un’altra impresa d’arrampicata made in Varese

Il mio pensiero per questa via va ai grandi Dino Vanini e Armando Chiò, a Mario “Rosso” e al “Capitano Arlot”

Un grazie a Radames Bionda Parco Veglia Devero, Paolo Stoppini, Fabrizio Manoni, Pietro Corti, al Comitato tutela Alpe Devero e agli sponsor che ci supportano (Salomon, Suunto, BluIce e DfSportSpecialist)

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Explicit

Qualche tempo fa ho fatto un sogno, ero seduto in cima al Fizzi con Tommy, Gian e Claudio e parlavamo di questo mondo. Di quanto ogni giorno sentiamo e vediamo cose assurde e forse perchè assuefatti o stufi ci giriamo dall’altra parte. Qui in cima è difficile, come è difficile se urlassimo non far sentire il nostro disagio. Giù in basso, Devero è minacciato dal progetto di un comprensorio sciistico che dovrebbe “avvicinare le montagne” (S. Domenico a Devero) e che invece scaverebbe abissi e violenterebbe un territorio in nome di benefici per pochi e danni irreparabili e permanenti per tutti. Ma non è un caso isolato. A Marzo leggevamo su “Varesenews” che anche a Brinzio (510 mslm), vista l’assegnazione delle Olimpiadi del 2026 a Milano e Cortina, si stava lavorando per potenziare attraverso bandi nazionali la pista da fondo come sede almeno per gli allenamenti. Ci voltiamo e abbiamo la Val Deserta ai nostri piedi, forse è un presagio; ormai il suo ghiacciaio è quasi estinto e ancora ci parlano di progetti fuori tempo e fuori stagione. Questo è ormai un modello turistico, e non, superato, per motivi economici, climatici e culturali e voi continuate a inseguirlo? Peccato che poi i contribuenti ogni anno spendano milioni di euro per ripianare le perdite…Ma il passo dal Brinzio al Campo dei Fiori è breve. Sempre a marzo una delibera approvata dalla Regione Lombardia su proposta del presidente Attilio Fontana e dagli assessori Cambiaghi e Sertori ha deciso lo stanziamento di 581.000 Euro “per la riqualificazione della palestra di roccia”. Nota bene, palestra e non falesia. Intendiamoci sul significato delle parole. Circa 10 anni fa il CAI aveva speso 9000 euro per risistemare, con l’aiuto di volontari, la chiodatura delle vie presenti. Mentre nel 2017 si è concluso il progetto di manutenzione straordinaria di nove siti di arrampicata in Provincia di Lecco, per un importo di 450.000 euro di fondi pubblici, nell’ambito dell’“Accordo di programma per la valorizzazione del sistema delle falesia lecchesi”. Accordo promosso dalla Regione Lombardia – Assessorato allo sport e alle politiche giovanili, con la partecipazione della Comunità Montana Lario Orientale, Valle San Martino, Valsassina, Valvarrone, Val d’Esino e Riviera, quali soggetti attuatori degli interventi, del collegio Regionale Guide Alpine Lombardia e del Comune di Lecco, Provincia di Lecco e Camera di Commercio di Lecco. Le Guide Alpine hanno eseguito i lavori in parete, riattrezzando gli itinerari con materiali certificati, eliminando gli ancoraggi originali e cancellando le tracce, per quanto possibile. E’ stata fatta pulizia della vegetazione e sono state rimosse le rocce instabili in parete e sul ciglio. Sono stati così manutenuti circa 700 tiri di corda, tenendo un rapporto strettissimo tra operatori e Comunità Montane, definendo preventivamente i criteri di intervento generali -le linee guida- nel corso di diversi mesi di lavoro “a tavolino”. Queste ultime prevedevano di mantenere il più possibile il “carattere” originale degli itinerari di arrampicata, cioè, in sintesi, la distanza tra gli ancoraggi, effettuando modifiche se fossero state riscontrate situazioni potenzialmente rischiose. Valutando quindi con particolare attenzione le distanze tra i primi ancoraggi partendo da terra o dalle discontinuità della parete, quali cenge e terrazzini. Il progetto ha compreso inoltre la pulizia dei sentieri di accesso alle falesie e la sistemazione delle aree alla base, utilizzando materiali reperiti in loco, per predisporre contenimenti e gradini per migliorare le condizioni di manovra degli scalatori. Il tutto (sentieri e opere alla base) a cura di imprese boschive qualificate. Infine, sono stati realizzati tabelloni e segnaletica ad hoc. Ci guardiamo perplessi. Io vorrei buttarmi giù di testa dalla cima, il Tommy e Gian iniziano a scomodare Dio, Claudio dall’alto della sua maturità cerca di tirare le somme. Ma se al Campo dei Fiori ci sono a mala pena 100 tiri, già per altro precedentemente revisionati, ed è una palestra alpinistica, cioè deve preparare i nostri giovani a vie e ambienti alpini (Pierluigi Zanetti dixit) perchè la si vuole snaturare e renderla un parco giochi? Ma soprattutto, chi realmente lo vuole o ne avrebbe bisogno? Il progetto, coordinato dall’ente Parco Campo dei Fiori, vedrà l’azione integrata di diversi Soggetti: Regione, Comune, Camera di Commercio, CAI, Collegio Guide Alpine Lombardia. Vorrei ci fossero qui i miei istruttori Ambrogio e Tilli, loro che mi parlavano del “Campo” come un luogo sacro e io che anche se non l’ho mai amato visceralmente l’ho sempre rispettato come loro mi avevano insegnato. Oggi si vuole omologare tutto e rendere tutto fruibile a tutti, calpestando la storia e la tradizione. Mi fa sorridere leggere le dichiarazioni di intenti e mi fa capire la distanza che intercorre tra chi si sporca le mani e spacca ginocchia e schiena, e chi lontano dalla realtà vorrebbe offrire un servizio. Tanti giovani scalatori forse hanno mosso i loro primi passi al Campo dei Fiori, forse, ma anche in altre falesie che si trovano sul nostro territorio, e che dei volontari appassionati con giorni di fatica e lavoro, hanno strappato alla vegetazione ed ai massi instabili. Tutto in nome della passione e dell’entusiasmo, smenandoci in salute e soldi, per regalare ai fruitori giornate di divertimento. Penso al mio amico “Rosso”,dall’alto del “suo” San Martino, cosa direbbe, ora che non c’è più e il suo lavoro si sta deteriorando. Al Sasso Ballaro e alle minacce di sfratto per una delle “nostre” falesie più rappresentative. Penso a Gianni e all’ultimo regalo che ci ha fatto a Sangiano. Anche lì, paradosso profondo, su un versante la Natura vive, dall’altra parte la cava se la sta mangiando nell’indifferenza più totale. Grazie a Dio sulla cima del Picuz c’è la chiesetta di S. Clemente che spero ci protegga. Ma la cosa più assurda è che la nostra meglio gioventù deve fare un sacco di chilometri perchè qui non trova risposte e progetti, e per allenarsi deve farlo in palestre piccole e poco gratificanti. Sono anni che si parla di una struttura indoor artificiale “di livello”, ma ognuno guarda al suo orticello, spendendo soldi per progetti, a nostro parere, illogici e poco funzionali. Noi ci aspettiamo che qualcosa cambi e che questo sogno non diventi un incubo e spero almeno che chi è incaricato di fare delle scelte si informi ed interagisca con le persone che conoscono questo mondo. Come disse Carlo Alberto Pinelli, detto Betto, “se sono i particolari caratteri della montagna a dare un senso alla nostra esperienza, solo la strenua difesa di quei valori può identificarsi in un alpinismo maturo e consapevole….conserviamo le potenzialità eversive della nostra attività e non portiamoci dietro i condizionamenti e i falsi valori della civiltà consumistica”.

Tommaso Salvadori

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 03 Ottobre 2019
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