L’umorismo di Milano, denti stretti e stoccata facile

Giulio D’Antona, scrittore partito a Taino e passato anche da New York, racconta in un libro Milano e la "storia comica di una città tragica”

Generico 2018

In questo momento così anomalo e complicato, anche il mondo della risata può, seppur per qualche istante, aiutare a scacciare i tanti pensieri inevitabilmente collegati al coronavirus. A partire dal dopoguerra, quando si parla di comicità, di umorismo e risate, un ruolo di fondamentale importanza è senza dubbio d’attribuire a Milano, capoluogo della Lombardia, regione che adesso versa in una situazione di emergenza sanitaria.

«Milano è una città pratica, spesso brutale, e la sua praticità si riflette nell’umorismo dei milanesi: denti stretti e stoccata facile» spiega Giulio D’Antona, giornalista e scrittore di origine meneghine cresciuto tuttavia a Taino, nel basso Verbano.

Sulle colline del Lago Maggiore fin da piccolo D’Antona ha infatti iniziato a coltivare la passione per il mondo della risata insieme al nonno. Una passione che, unita a esigenze lavorative, ha portato lo scrittore, autore anche di alcune storie per Topolino, prima negli States, dove ha toccato con mano il mondo della Stand Up Comedy americana, e poi di nuovo a Milano, città in cui è nato e adesso protagonista della sua ultima fatica letteraria dal titolo “Milano: storia comica di una città tragica”, pubblicato da Bompiani la scorsa settimana.

Dal cabaret, i night club e il seminterrato del Derby Club ai fasti, ancora nitidi dello Zelig e della televisione. Jannacci, Boldi, Villaggio, Abatantuono: in oltre quarant’anni di comicità, sono tanti i volti noti tra i palchi milanesi i cui retroscena sono ricchi di straordinari aneddoti, spesso a metà tra leggenda e verità (nella foto wikipedia: Il Gruppo Repellente, tra gli artisti che animarono il Derby Club di Milano, sul finire degli anni 70 del XX secolo; da sinistra: Ernst Thole, Diego Abatantuono, Enzo Jannacci, Mauro Di Francesco, Giorgio Porcaro, Massimo Boldi e Giorgio Faletti).

Innanzitutto, grazie Giulio per la disponibilità. Come suggerisce il titolo, “Milano, storia comica di una città tragica”, protagonista assoluto del tuo ultimo libro è il capoluogo lombardo. Da ragazzo sei cresciuto sul Lago Maggiore a Taino, dove tra l’altro ha finito di scrivere il libro. Che ricordi ha di Taino e delle giornate trascorse nel Basso Verbano?

«Sono molto affezionato a Taino e ai suoi boschi, sono i luoghi dove da bambino e da adolescente ho costruito una parte importante del mio bagaglio culturale. Vorrei fare un paragone da un lato molto ambizioso ma al contempo un po’ stupido: per me è stato un po’ come il Maine per Stephen King. Sono ancora innamorato del Lago Maggiore, spesso mi torna in mente. Fra pochissimo nascerà il mio primo figlio: sarebbe bello se anche lui riuscisse a vivere quelle stesse esperienze che ho avuto io da ragazzo».

Come nasce l’idea di raccontare Milano attraverso la storia di due storici locali di satira e intrattenimento come il Derby e lo Zelig?

«Ho sempre avuto la passione per la comicità, anche se l’ho alimenta esponenzialmente a New York dove ho cominciato a frequentare il mondo della comicità dal vivo. Quando sono tornato dagli Stati Uniti, insieme a un mio amico e Saverio Raimondo ho iniziato a lavorare a spettacoli di Stand Up Comedy qui Milano. Sapevo bene che Milano aveva quest’anima comica ma non avevo mai esplorato a fondo la sua evoluzione. C’erano molti aspetti in comune tra Milano e la New York che avevo conosciuto da vicino. Così mi è sembrata una bella idea raccontare tutte queste rocambolesche storie della comicità a Milano. Per tanti anni Milano è stata infatti da una parte la città dei lavoratori e da un’altra la città dei malavitosi che insieme a calciatori e politici finivano tutti per trovarsi nello stesso posto, lo storico Derby Club di via Monte Rosa. Certo, magari forzando il paragone, ma è possibile trova un‘analogia con certe città americane e un tipo di malavita, quasi romantica benché terrificante. C’erano eroi comici ed eroi tragici: i malavitosi che all’iniziano erano criminali di piccoli giri finirono col tempo per diventare dei Vallanzasca».

Taino generica
Giulio D’Antona (foto di Stefano Moscardini)

Tra i tantissimi personaggi che hanno calcato i palchi milanesi, e che sono stati menzionati nel libro, forse la figura che emerge di più è quella di Enzo Jannacci, quanto è stato importante?

«Jannacci è stata la classica persona al posto giusto, nel momento giusto, con la giusta intuizione. Di professione faceva il medico, era un chirurgo, per questo era abituato a chiedere lui agli altri e non il contrario: ogni volta che ha avuto un’occasione l’ha saputa cogliere. La sua presenza a Milano è stata fondamentale per lo sviluppo di due generazioni a tal punto che, quando Jannacci si è sfilato, anche il sistema Derby si è sfilacciato di conseguenza. Era lui che teneva insieme le cose, almeno dal punto di vista artistico».

L’avvento delle televisioni private è stato determinante per il mondo dello spettacolo, adesso invece come internet sta cambiando la comicità? In particolare, YouTube, che offre la possibilità di pubblicare video direttamente con il mondo intero.

«In un ambito dove conta immensamente il talento e la preparazione, internet dà a tutti una vetrina. Questo ha cambiato di parecchio le carte in tavola e non solo nel mondo della comicità: da un lato, in maniera positiva, permette ai comici di comunicare la propria presenza ma, al contempo, non pone più filtri alla possibilità di diffondere la propria professionalità. In modo particolare internet ha diminuito moltissimo le opportunità economiche: fino a poco tempo fa, andare in televisione significava acquisire grande notorietà in pochissimo tempo, permettendo di trovare più facilmente un modo di vivere e sopravvivere attraverso la comicità. Adesso, complice internet, la fruizione si è parecchio diluita ed è diventato difficile trovare vere opportunità lavorative. In molti non ne cercano neanche più. Un alto numero di visualizzazioni del web paga di più che una partecipazione televisiva, e questo è un lato positivo, ma per molti altri quelle “milioni di visualizzazioni” non arrivano mai. Situazione diversa è stata invece tra gli anni Settanta e Novanta con le televisioni private che hanno dato nuova linfa ai comici, a cui è stata offerta la possibilità di sbarcare su nuovi canali anche con opportunità economiche maggiori rispetto a quanto potevano prendere da altre parti».

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Pubblicato il 30 Marzo 2020
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