È di Varese il regista della serie Sky “Sarah. La ragazza di Avetrana”

Christian Letruria ha diretto e scritto con Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni, Matteo Billi la docuserie sul tragico fatto di cronaca di Avetrana. Per le musiche, ha coinvolto Lorenzo Bassignani, musicista di livello internazionale, anche lui di Varese

Generica 2020

C’è una mini serie in onda su Sky che fa tornare la memoria a 11 anni fa, quando Sarah Scazzi è uscita di casa il 26 agosto 2010 ad Avetrana per andare al mare e non è mai più ritornata.

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La docuserie di chiama “Sarah. La ragazza di Avetrana” e sta avendo un grande successo di pubblico e di critica. La regia è firmata da un autore varesino di nascita e romano d’azione, Christian Letruria, mentre le musiche sono opere di Lorenzo Bassignani, altro varesino, musicista apprezzato a livello internazionale.

Letruria, classe ’77 (GUARDA LA BIO), diplomato al Liceo Classico Cairoli e laureato in Scienze Politiche, ha da sempre la passione del cinema e della scrittura: regista, ma anche scrittore, produttore, anchor, reporter e attore italiano, ha lavorato a spot pubblicitari, documentari, trasmissioni televisive, video musicali, cortometraggi di vari genere per Rai, La7, Mediaset, Sky e diversi marchi italiani e internazionali.

Lo abbiamo intervistato, reduce dall’esperienza a Più Libri più Liberi, dove ha presentato la docuserie dopo gli interventi di personaggi del calibro di Saviano, Murgia e ZeroCalcare: «Il progetto sta avendo un ottimo riscontro , non posso che esserne fiero e felice. L’occasione di Più Libri ha dato una visibilità ulteriore. Parlare davanti ad un pubblico e vedere di persona cosa pensano le persone è importante. Tanti hanno chiesto, fatto complimenti», spiega Letruria.

Come è nata l’idea della docuserie su un caso complicato come quello di Avetrana?
«Il progetto è nato un anno e mezzo fa, in agosto. Matteo Rovere, il numero uno di Groenlandia, la società di produzione che ha realizzato la serie per Sky Original, mi ha chiamato per propormi quest’idea: mi ha detto che stava comprando i diritti del libro sul delitto di Avetrana, scritto da Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni (Fandango). Io subito detto: perché? Ero un po’ disorientato, sicuro di non farlo. Era però un’opportunità grande, dall’appeal sicuro, un grande caso di cronaca di cui tutti, bene o male, hanno sentito parlare. Così mi sono letto il libro, e leggendo mi sono posto domande che prima non mi ero posto, ho riscoperto passaggi e personaggi, approfondito il racconto dei media, il racconto dei personaggi e degli archetipi. Ho messo due o tre paletti, primo fra i quali la volontà di partire dal racconto mediatico e da lì sviscerare la storia. Abbiamo costruito la squadra e iniziato il progetto insieme a Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni, Matteo Billi. Siamo arrivati ad una versione di scrittura che ci convinceva a marzo. Sky si è interessata subito e abbiamo realizzato il prodotto, girando più di 26 interviste, ricostruzioni di fiction, tutto mescolato al processo, in video e audio, senza cadere nel grottesco, ma lavorando per realizzare un prodotto di qualità. È stata un’esperienza molto formativa, abbiamo girato come un film, con un set vero, con effetti, cast e tutto l’apparato cinematografico».

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Quali sono i personaggi che hai incontrato e che ti hanno colpito di più?
«Partiamo dal presupposto che io non mi fermo al documentario di nera, preferisco andare a fondo, toccare altri punti, la psicologia dei personaggi per esempio. L’idea principe era quella di raccontare la storia, come è stata raccontata dalla televisione. Tra i personaggi che mi hanno più toccato ci sono le vittime, la famiglia di Sarah, Claudio e Concetta soprattutto, perché emergono in maniera diversa da quella che è stata la narrazione televisiva di allora. Claudio in particolare mi ha molto colpito: con Sarah e la famiglia hanno vissuto a Castellanza, non lo sapevo prima di affrontare questo lavoro. C’è anche una parte di noi, della nostra provincia, in questo racconto complesso».

Che idea ti sei fatto di questa storia dopo averla affrontata e vissuta da vicino?
«L’idea sul processo, sul fatto di cronaca, stando con loro e vedendo tutto il processo, leggendo gli atti, è cambiata più volte. Questo è un processo indiziario, un gigantesco insieme di indizi, una verità non semplice da definire se è vero che la sentenza di colpevolezza è racchiusa in 1200 pagine. Io non sono nè innocentista nè colpevolista, ma l’ergastolo per Sabrina e Cosima mi sembra troppo, fosse per me farei una revisione del processo. Il documentario non dà tesi, fa rivivere la storia, e decidere ognuno secondo la propria sensibilità. Ci sono anche delle novità importanti, come le parole del fioraio, che parla dopo 10 anni per la prima volta, dicendo cose importanti anche per la difesa».

Oltre a te, c’è un’altra parte di varesinità in questo lavoro, vale a dire le musiche di Lorenzo Bassignani che creano un sottofondo fondamentale a tutto il racconto…
«Lorenzo lo conosco da quando ho 16, con tanti altri è uno di quegli amici storici che sento e vedo volentieri appena posso. Lui ha fatto la scuola di Jazz a Londra, e poi ha girato il mondo, facendo il resident in vari locali e anche composizione. L’ho cercato e l’ho coinvolto, prima in Rai e poi anche per questo e tanti altri progetti. Mi piace lavorare per affinità elettive, Lorenzo è una persona splendida e ha fatto lavoro egregio».

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Hai mantenuto un legame con Varese nonostante siano tanti anni che ti sei traferito a Roma?
«Sì, decisamente. Ho mantenuto i legami con Varese, dove vivono i miei genitori, e con gli amici con cui ho coltivato passioni comuni, il cinema, il teatro, la musica. Coi miei amici del liceo ci sentiamo spesso, tutti i giorni quasi. Quando posso torno, a Cortisonici sono stato in giuria più volte e seguo con piacere il loro lavoro e quello di Filmstudio, per fare due esempi. Ho grande stima per quel tessuto sociale, cresciuto negli anni. Anche qui sono affinità elettive, ci sono talenti globali che nascono e si sviluppano in provincia. Spesso è più facile fare successo a Roma che a Varese, è più difficile costruire qualcosa in provincia, che però è la base per creare le proprie fortune. Le radici in tutto questo sono fondamentali».

Dopo il successo di “Sarah. La ragazza di Avetrana” hai altri progetti in cantiere?
«Sto scrivendo due/tre progetti, uno riguarda una grande storia italiana, non di cronaca. Non so cosa farò domani, ma la mia idea è non focalizzarmi sulla nera, ma andare dove ci sono storie interessanti che pongano dilemmi etici importanti. Ora aspettiamo che la docuserie esca dall’Italia: è il primo docufilm italiano con una produzione “globale”, l’obiettivo è portare all’esterno anche storie italiane interessanti come questa. Un primo passo siamo convinti di averlo fatto».

Tommaso Guidotti
tommaso.guidotti@varesenews.it

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Pubblicato il 09 Dicembre 2021
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