Condannato a due anni l’allenatore di pallavolo che abusò di una quindicenne: “Mia figlia travolta”
La vicenda risale al 2022. La mamma della vittima racconta il percorso che ha lasciato un segno profondo sulla figlia: "Ha subito, come accade spesso, colpevolizzazione e omertà"

«Il trauma per un’adolescente è un colpo profondo, che lascia segni duraturi e condiziona la vita. In questo caso, la giustizia ha fatto il suo corso con scrupolo e competenza, sia sul piano sportivo, con la FIPAV che ha decretato subito la radiazione dell’allenatore, sia sul piano penale, a partire dalle fasi di indagine, alla denuncia e con questa sentenza».
Questo il commento della mamma della minore abusata sessualmente dal proprio allenatore di pallavolo nel 2022, quando era ancora quindicenne, dopo la condanna in primo grado a due anni da parte del Gup del Tribunale di Busto Arsizio (pena sospesa). La vicenda creò molto scalpore quando emerse sui media e l’allenatore venne immediatamente allontanato.
Si trattò di un unico episodio di abuso quando la ragazza, che aveva appena avuto un lutto a cui non era preparata, venne convocata in palestra un’ora prima dell’allenamento, con il pretesto di “parlare” di quanto accaduto e sollevarla. Io ero stata informata che ci sarebbe stata una sessione di pesi aggiuntiva.
«Quando mia figlia, immediatamente il giorno successivo, mi ha raccontato l’accaduto, ho esposto il problema alla Società che ha prontamente allontanato l’allenatore e mi sono recata in Polizia dove la denuncia è partita d’ufficio» – racconta la madre. La figlia è stata assistita dall’avvocata Elisa Rocchitelli e dallo psicologo Paolo Bozzato, «entrambi professionisti con esperienza e di grande sensibilità».
«Siamo stati orgogliosi di lei da subito, da quando ha trovato il coraggio di raccontarci tutto. Ha però subito, come accade spesso, colpevolizzazione e omertà, che anche nel mondo dello sport sono la norma».
La mamma spiega che la figlia «è stata travolta da eventi senza possedere i mezzi per affrontarli, comprenderli ed elaborarli. Il meccanismo di difesa è stato prendere le distanze dall’accaduto per proteggersi da qualcosa per lei ingestibile. Non se ne poteva parlare, bisognava far finta di niente e, nonostante la sua testimonianza determinata in sede di incidente probatorio, in famiglia e con gli amici è così ancora adesso. Oggi, almeno, può contare su una verità finalmente riconosciuta».
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