Nei boschi di Srebrenica, per non dimenticare: Donata Manciani e la marcia per la memoria
Attivista per la pace, fin dallo scoppio della guerra ha fatto parte del gruppo Varese per la Bosnia. Una storia personale dentro a un impegno collettivo, per la solidarietà e la convivenza

A luglio, per tanti anni, Donata Manciani partiva da Varese e nei giorni più caldi di luglio ha attraversato per giorni i boschi della Bosnia, fino a Srebrenica. Per far memoria del genocidio di Srebrenica, dei 8300 e più morti tra i bosniaco-musulmani, dai dodicenni agli anziani. E per portare un avanti un impegno partito fin dall’inizio della guerra, nel ’92.
«La marcia di luglio l’ho fatta per nove anni. Per otto anni con mio marito Pinuccio, che dopo la prima volta ,si è aggiunto preoccupato dopo che gli avevo raccontato la fatica. Ogni tanto nei sentieri nei boschi gli altri ragazzi dicevano “ziva, ziva“… “la vecchia è viva”» racconta sorridendo Manciani.
È una storia lunga, che parte dall’inizio della guerra, quando nasce il gruppo Un sorriso per la Bosnia, una iniziativa partita dalle Acli.
«Già nel 1993 hanno attivato gemellaggi con alcuni campi profughi istituiti in Slovenia, poco oltre il confine italiano. Nel nostro gruppo, anche da Varese, c’erano ragazzi anche di diciassette anni, i giovani erano la metà, gli altri erano adulti. Nei campi abbiamo organizzato l’asilo, le Olimpiadi per i bambini, le feste di compleanno: erano un modo per farli sentire persone, non numeri. Mi ricordo il laboratorio di trucco, con una ragazza che faceva l’estetista: ha avuto un successo clamoroso, le ragazze si erano fatte tutte la tinta rossa. Nel gruppo, tra ragazzi e ragazze, sono nati anche amori, ci sono stati poi anche matrimoni».
Dai campi profughi ragazzi e famiglie bosniache sono arrivati anche in Italia.
«A Varese per due volte si è organizzata l’accoglienza in famiglie, attivando poi corsi con l’Enaip (l’ente di formazione delle Acli, ndr): corsi da parrucchiera, panettiere, elettricista. Molti sono poi rimasti in Italia». Alcuni si sono sposati e hanno messo su famiglia insieme a coetanei varesini.
Da quei giorni la Bosnia è entrata nel cuore di Donata Manciani, che è nota anche per l’impegno con le Donne in nero, il movimento delle donne per la pace e la convivenza, nato in Israele/Palestina.
«Nel 2006 ho iniziato ad andare, autonomamente, alla marcia internazionale di Srebrenica organizzata da un gruppo di bosniaci di Ginevra. Da Varese andavo con un paio di persone. Si parte il 9 di luglio e si fanno due giorni di marcia: a luglio, con il caldo estremo, era molto dura».

In quei giorni di luglio, nel 1995, decine di migliaia di donne e bambini furono scacciati dalla pulizia etnica dei nazionalisti serbi (nella foto di apertura), mentre migliaia di uomini tentarono la fuga dalla cittadina conquistata.
Nei boschi migliaia di loro furono trucidati, i cadaveri dispersi o occultati in fosse comuni: «Durante la marcia, oggi, ci si ferma alle fontane e ai cippi per i ragazzi morti, uccisi nei boschi lungo la strada».
La marcia si conclude a Potočari, la zona industriale di Srebrenica dove c’era la base dell’Onu dove migliaia di persone si rifugiarono disperate: i Caschi Blu si arresero senza combattere. E subito tra i capannoni e i boschi iniziarono i massacri di tutti i maschi, dai 12 ai 77 anni: oggi lì sorge il cimitero-memoriale.

La marcia per Srebrenica – che si svolge ancora oggi – è soprattutto un modo per non dimenticare.
Ma nel suo piccolo è anche una iniziativa di solidarietà: «In quei due giorni si era ospiti delle famiglie, era anche un modo per sostenere le famiglie molto povere di quella zona».

Negli anni l’impegno dei giovani e degli altri volontari delle Acli si è strutturato: Un sorriso per la Bosnia ha dato origine a molti progetti permanenti di Ipsìa, la ong delle Acli che ancora oggi è attiva nei Balcani, a sostegno della popolazione locale e anche dei migranti della “rotta balcanica”, in particolare a Bihac, nella Bosnia occidentale.

Donata Manciani ha continuato a darsi da fare per la Bosnia, un Paese che ha nel cuore, a fianco della Palestina, dove ancora si parla di pulizia etnica e genocidio.
È sempre stata a fianco dei bosniaci-musulmani vittime e, quando finiamo la chiacchierata, riporta un’ultima riflessione: «Anche loro dicevano sempre che non tutti i serbi erano cattivi, erano i politici ladri i veri colpevoli». Anni di guerre hanno lasciato quelle terre più povere di quanto fossero prima e migliaia di persone oggi continuano a emigrare.
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