Ha domato il lupo, ma oggi l’uomo non sa più vivere
Teatro Santuccio al completo per l'incontro con L'etologo Danilo Mainardi organizzato dalla Lipu. «La zoologia è una disciplina bellissima e conoscere è gioia di vivere».

Stimolato dalle domande di Marco Giovannelli, direttore di Varesenews, e Luca Chiarei, presidente della Lipu varesina, Mainardi ha affrontato il tema “L’animale uomo: l’evoluzione continua”.
(foto: da sinistra, Luca Chiarei, Marco Giovannelli, Danilo Mainardi e il rappresentante di Coop Lombardia, organizzatore insieme alla Lipu dell’incontro)
L’adattamento biologico ha tempi molto lunghi a differenza delle modificazioni culturali, che sono veloci e continue. E così l’uomo, almeno da quando è sapiens, a differenza degli altri animali ha dimenticato la parte istintuale e sviluppato quella culturale con una serie di implicazioni negative sul piano sociale, come ad esempio il ritardo generazionale, che un ex ministro ha bollato come «il fenomeno dei bamboccioni». «Leggiamo sui giornali che una persona di 35 anni è un giovane – ha spiegato Mainardi -. Questo discorso ha a che fare con l’emancipazione dei cuccioli. Il prevalere della cultura sul patrimonio genetico genera queste anomalie che in altre specie non c’è. L’allevamento della prole risponde a delle regole inscritte nei nostri geni. Prendete un cane o un gatto che non hanno mai partorito, quando succede sanno già tutto quello che devono fare, si comportano come se lo avessero fatto migliaia di volte. Noi, invece, tutte queste informazioni le abbiamo dimenticate».
Circa 14 mila anni fa l’uomo è riuscito ad addomesticare il lupo per avere un naso efficiente al suo servizio, per andare a caccia e avere un fedele alleato. Insomma, gli uomini erano dei grandi naturalisti, osservavano l’ambiente e ubbidivano al loro istinto, perché tutto questo era indispensabile per sopravvivere.
L’uomo ha perso tante informazioni, ma ha mantenuto una vecchia abitudine: ammazzare i suoi simili. Sul piano dell’aggressività la sua situazione è unica: , a differenza di tutti gli altri esseri viventi, gli esseri umani ammazzano all’interno della loro specie. «Noi utilizziamo il termine bestiale per indicare qualcosa che le bestie non fanno e che invece fanno gli umani. In etologia si parla di pseudospeciazione, cioè l’uomo si comporta come se i suoi simili appartenessero a una specie diversa».
L’adattamento biologico ha tempi molto lunghi a differenza delle modificazioni culturali, che sono veloci e continue. E così l’uomo, almeno da quando è sapiens, a differenza degli altri animali ha dimenticato la parte istintuale e sviluppato quella culturale con una serie di implicazioni negative sul piano sociale, come ad esempio il ritardo generazionale, che un ex ministro ha bollato come «il fenomeno dei bamboccioni». «Leggiamo sui giornali che una persona di 35 anni è un giovane – ha spiegato Mainardi -. Questo discorso ha a che fare con l’emancipazione dei cuccioli. Il prevalere della cultura sul patrimonio genetico genera queste anomalie che in altre specie non c’è. L’allevamento della prole risponde a delle regole inscritte nei nostri geni. Prendete un cane o un gatto che non hanno mai partorito, quando succede sanno già tutto quello che devono fare, si comportano come se lo avessero fatto migliaia di volte. Noi, invece, tutte queste informazioni le abbiamo dimenticate».
Circa 14 mila anni fa l’uomo è riuscito ad addomesticare il lupo per avere un naso efficiente al suo servizio, per andare a caccia e avere un fedele alleato. Insomma, gli uomini erano dei grandi naturalisti, osservavano l’ambiente e ubbidivano al loro istinto, perché tutto questo era indispensabile per sopravvivere.
L’uomo ha perso tante informazioni, ma ha mantenuto una vecchia abitudine: ammazzare i suoi simili. Sul piano dell’aggressività la sua situazione è unica: , a differenza di tutti gli altri esseri viventi, gli esseri umani ammazzano all’interno della loro specie. «Noi utilizziamo il termine bestiale per indicare qualcosa che le bestie non fanno e che invece fanno gli umani. In etologia si parla di pseudospeciazione, cioè l’uomo si comporta come se i suoi simili appartenessero a una specie diversa».
Tra le parole più usate e «abusate» quanso si parla di ambiente e natura c’è il termine biodiversità. «Sulla biodiversità – conclude Mainardi- si danno spesso dei numeri che non dicono niente. Sarebbe più appropriato parlare di coevoluzione, ovvero specie diverse che si sono evolute insieme con un reticolo di informazioni, come nel caso della preda e del predatore».
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