Dopo la sentenza sul Mottarone il racconto delle mamme di Silvia e Alessandro: “Per noi non è giustizia”

Intervista che dà parola a due donne, Rosalba Nania e Vincenza Minutella, madri di Alessandro Merlo e Silvia Malnati, perché il loro dolore non diventi rumore, ma memoria attiva

23 maggio 2025, la commemorazione delle vittime della tragedia del Mottarone

Due settimane dopo la sentenza sul Mottarone, il dibattito pubblico resta attraversato da un sentimento di smarrimento e di ferita aperta. Al centro, non solo gli esiti giudiziari, ma la percezione di una distanza profonda tra la legalità formale e l’idea di giustizia sostanziale. L’intervista che segue non cerca lo scontro, ma la chiarezza: dà parola a due donne, Rosalba Nania e Vincenza Minutella, madri di Alessandro Merlo e Silvia Malnati, perché il loro dolore non diventi rumore, ma memoria attiva. È un invito a non archiviare, a interrogare le scelte compiute e quelle future, per restituire peso alle vite perdute e valore alla promessa di “mai più” (nella foto un momento della commemorazione delle vittime al Mottarone nel maggio di quest’anno).

Rosalba Nania e Vincenza Minutella la decisione del giudice, con i patteggiamenti e i proscioglimenti, ha suscitato molta indignazione. Qual è la vostra reazione emotiva a questo esito giudiziario?
Il sentimento non è cambiato. È una delusione profonda. L’abbiamo vissuta come una mazzata, come se Alessandro e Silvia fossero stati uccisi una seconda volta. Non è una questione di rabbia del momento, è la constatazione amara che questa, per noi, non è giustizia. Significa che la vita delle persone “vale zero”. Proviamo sconcerto e un senso di umiliazione. Vedere che le persone responsabili della morte dei nostri figli e di altre dodici persone sono a casa, senza aver fatto un solo giorno di carcere, è qualcosa che non si può accettare. Ci sentiamo prese in giro.

Avete parlato di “giustizia mancata”. Dal punto di vista processuale, cosa secondo voi non ha funzionato? Perché si sarebbe arrivati a patteggiamenti con pene così lievi?
Il punto chiave è stata la decisione della Procura di non insistere sulla contestazione del dolo eventuale. Senza quell’aggravante, si è aperta la porta ai patteggiamenti. La prima Pubblico Ministero che ha seguito il caso era convinta di quella tesi e si è battuta molto, ma dopo il suo trasferimento la linea è cambiata. Sapevano che c’era un rischio enorme. Non si può parlare di fatalità. Abbiamo saputo di un’intercettazione in cui uno di loro, per rassicurare un dipendente, diceva di non preoccuparsi perché non sarebbe successa una tragedia come quella del ponte Morandi. Questo ci fa pensare che c’era consapevolezza del pericolo.

Al di là delle motivazioni tecniche, vi è mai stato detto che una chiusura rapida del processo, anche con patteggiamenti, potesse in qualche modo essere un bene per voi, per aiutarvi a elaborare il lutto?
Sì, ed è forse una delle cose che ci ha ferito e fatto arrabbiare di più. A processo concluso, parlando con un magistrato, ci è stato detto che questa chiusura frettolosa serviva in fondo anche a noi, per aiutarci a “soffrire di meno”. Ma la nostra sofferenza non ce la toglie nessuno, non sarà certo una sentenza ingiusta a farlo. Anzi, con questo verdetto i nostri figli sono morti una seconda volta.

Oltre all’aspetto legale, c’è stato un lato umano? Come avete vissuto tutto il percorso processuale?
È stato umiliante. A volte ci siamo sentite trattate come un fastidio. Quando abbiamo protestato in aula, un giudice ci ha detto: “Non ci siete solo voi”. E quando abbiamo chiesto giustizia, ci è stato chiesto se in realtà volessimo “vendetta”. Noi vogliamo solo che le responsabilità vengano riconosciute. Da parte degli imputati non è mai arrivata una vera scusa, un segno di pentimento. Anzi, in aula abbiamo dovuto subire un atteggiamento a volte irrispettoso, con gli avvocati della difesa che scherzavano tra loro.

Avete anche espresso il sospetto che l’esito fosse, in qualche modo, già deciso. Perché lo avete detto?
Abbiamo avuto la netta sensazione che si volesse chiudere la partita in fretta, forse per evitare la prescrizione. Il cambio del PM è stato un segnale forte. La prima inquirente era molto più determinata, non avrebbe mai accettato un accordo del genere.
La sua linea dura era probabilmente scomoda. Abbiamo pensato che il suo trasferimento sia servito a spianare la strada a una soluzione più “morbida”. Sembrava tutto già scritto.

Al di là del vostro immenso dolore personale, quale messaggio lascia questa sentenza al Paese? Che precedente si è creato?
Un precedente terribile. Il messaggio è che in Italia puoi causare una strage per negligenza, per mettere il profitto davanti alla sicurezza, e sostanzialmente non pagare. Si fa passare l’idea che tutto sia concesso. Si dimostra che la vita umana ha un valore relativo. La nostra battaglia non è mai stata per vendetta, ma perché una tragedia del genere, che si poteva evitare, non accada mai più. Con questa sentenza, la paura è che possa succedere di nuovo, perché chi sbaglia sa che potrebbe non pagare mai veramente.

Ha collaborato all’articolo Andrea Zanovello

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Ottobre 2025
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Commenti

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  1. Avatar
    Scritto da Felice

    Giustizia imbarazzante per questo caso come per molti altri…morire per negligenza ma senza avere un colpevole…tutti si salvano tranne i morti che così muoiono un’altra volta nell’oblio generale.

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