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Il silenzio di Genova

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8 Novembre 2011

Il negro americano, il bel tipo
catturato in porto, molto tempo fa,
dal boato dell’onda alluvionale,
ancora si aggira per gli stretti carruggi,
gli splendidi seni delle ragazze poliglotte 
che conoscono la nostra lingua,
la gente che inganna la vita nei quartieri bassi,
chi sfida e chi tace ostinato,
i palazzi dai portali chiusi, i pennoni,
le gru stagliate che si vedono salendo,
e più in alto il mare.
 
André Frénaud, “Il silenzio di Genova”.
 
 
   Vi è un silenzio irreale che grava sulla città come un macigno. Interrotto dalle esplosioni dei tuoni e dal crepitio della pioggia torrenziale che riprende e sembra non volersi fermare se non per cedere il posto a quel silenzio irreale.
 
   È come se la città stesse elaborando il lutto sulla tragedia che l’ha colpita. Non si odono più né i motori delle auto né i passaggi degli autobus. Persino le voci consuete delle persone nel palazzo giungono smorzate e lontane.
 
   Ma la voce del poeta, uno dei non molti che hanno compreso e cantato la bellezza difficile di questa città, giunge nitida e attuale dopo quasi mezzo secolo. E a lui, poeta e profeta, è giusto ridare la parola conclusiva.
 
Sei giunto qui diversamente che in sogno?
Sei tu che insisti sui selciati
in questo mattino deserto,
in questo mattino
dove tutto ti sembra eternamente vuoto?
Vano l’andare e venire del sole benevolo.
Ammicca, scuote la pioggia,
sulla strada rumorosa costruisce l’ordine e l’ombra.
Oggi la folla avanza nella città spoglia.
Malignamente nessun vino nero vi riluce
per infiammare la tua pace deserta.
Oggi chi manca non pesa più.
Nella solida pietra San Giorgio
nasconde il fuoco del drago.
Se non hai più un nemico, è lui che ha vinto.
Eros Barone

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