Per non dimenticare Gaetano Saraceni
15 Febbraio 2010
Venerdì scorso sono stato a casa del padre di Gaetano Saraceni, morto sul lavoro a Solbiate Arno. Le parole di un padre che perde un figlio sono sempre amare: queste erano anche piene di rabbia.
Bisogna cercare di essere oggettivi e calmi in un caso di morte sul lavoro, ma quello che ho sentito mi ha fatto rabbrividire. Già altri morti e feriti sulla stessa macchina, racconti di come è successo l’incidente, come era già stato sfiorato in passato, come, probabilmente si ripeterà, se non si prenderanno provvedimenti seri.
Ma, soprattutto, ho sentito parlare di retiribuzione a numero di pezzi prodotti. Cottimo, si diceva una volta: e pensavo seriamente che fosse stato messo al bando. Ma mi sono reso conto che non è così, perchè ci sono tanti modi di farlo diventare tale. Premi di rendimento, bonus e incentivi su una paga base da fame e con lo spettro (ancora attuale) della Cassa Integrazione, se non della mobilità.
Questo non è lavoro, è produrre come si fà in cina (la minuscola non è casuale): e piace tanto a molti, anche qui in Lombardia. Ma piace solo a chi i soldi li fa, non a chi se li deve sudare. Ricordo ancora gli allegri viaggi presso il paese del dragone e degli straccioni da parte dell’eterno presidente della regione, ennesimamente (mi si passi l’avverbio alla Cetto La Qualunque) riproposto dal nostro augusto primo ministro. Presidente della regione che annoverava, tra i suoi "amici", pure un certo Tareq Aziz…
Ma devo riuscire a non farne un discorso politico (anche se aprirei una cassa di Sassicaia, se Formigoni non fosse più rieletto), perchè il centro-sinistra non brilla per attenzione ai problemi del lavoro, per lo meno in altre regioni. Penso a quel Calearo che, in compagnia di altri degni figuri come i Mezzalira e i Benetton, rinverdirebbe lo schiavismo su modello Lousiana, se potesse. Anzi farebbero di meglio: tanto fumo negli occhi con eventi culturali, beneficenza e altri blablabla e poi…delocalizzazione all’Est. E qui arriva il ricatto: non vuoi la delocalizzazione? Allora lavora di fretta e fammi fare più soldi.
Me lo divceva sempre mio padre, piccolo artigiano: non si lavora bene di fretta, ma serve metodo, volontà e passione. Ma che passione rimane a molti lavoratori? Dove è andato a finire il concetto di lavoro di qualità che sempre (SEMPRE) va di pari passo con lavoro più sicuro?
Diventa difficile l’incidente grave, se il lavoratore è preparato, formato, stimolato a pensare e non ad essere un’estensione organica della macchina su cui sta lavorando. Torniamo ai "Tempi moderni" di Charlie Chaplin?
La mia realtà produttiva, sono sincero, è forse milgiore della media, ma mio, NOSTRO, dovere è non abbassare mai la guardia, non cedere mai un pollice.
E fare guerra senza limiti (…) al modo cinese di produrre. Altrimenti diventiamo cinesi pure noi.
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