Pio XII: il ‘papa nero’
24 Ottobre 2008
Egregio direttore,
il duro scontro fra il governo israeliano e il Vaticano sulla questione delle responsabilità di Pio XII in ordine allo sterminio degli ebrei, questione ripropòstasi in forza della causa di beatificazione avviata dall’attuale papa, riapre il ‘caso Pacelli’ e, più in generale, il problema del rapporto tra Chiesa cattolica e regimi nazifascisti, nonché il problema correlativo del rapporto tra la stessa Chiesa e la ‘Shoah’.
Ma quale fu l’atteggiamento del Vaticano nei confronti del genocidio ebraico? Ebbene, come risulta ormai accertato in sede storica, l’atteggiamento del Vaticano e, in particolare, di Eugenio Pacelli, dapprima come nunzio apostolico in Germania, poi come segretario di Stato e infine successivamente alla sua elevazione al soglio pontificio con il nome di Pio XII nel 1939, l’atteggiamento, dicevo, nei confronti della persecuzione e dello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale fu di vera e propria complicità con il nazifascismo, laddove tale ‘modus operandi’ fu alimentato da un «secolare e perdurante antigiudaismo cattolico» e dall’idea che gli ebrei fossero «un popolo avido e infido, nemico della cristianità, sostenitore delle libertà moderne in combutta con i massoni per arrivare al dominio del mondo».
Questo atto d’accusa, grave e, proprio per questo, attentamente circostanziato, è contenuto nel libro di Marco Aurelio Rivelli, “Dio è con noi. La Chiesa di Pio XII complice del nazifascismo” (Kaos edizioni, Roma 2002). Già autore di un saggio sulla figura di Alojzije Stepinach, l’arcivescovo di Zagabria legato alla dittatura ustascia in Croazia (sempre edito da Kaos nel 1999), Rivelli ripercorre in questo saggio storico l’intera carriera del futuro papa Pio XII a partire da quando, nel 1917, questi arrivò a Monaco per presentare le sue credenziali quale nuovo nunzio apostolico in Baviera. Per anni Pacelli lavorerà all’obiettivo di un concordato con il Reich tedesco, obiettivo che raggiungerà proprio con l’ascesa al potere di Hitler nel 1933 quando, ormai Segretario di Stato, deciderà di sacrificare lo «Zentrum», partito che storicamente rappresentava gli interessi della Chiesa cattolica in Germania, per allearsi proprio con il partito nazista. Un’alleanza dagli esiti tragici per i sei milioni di ebrei d’Europa che caddero vittime dello sterminio nazista, e che fino all’ultimo sperarono inutilmente, al di là di lodevoli eccezioni, coraggiose quanto isolate, nell’aiuto della Chiesa di Roma. In realtà, prevalse quella che l’autore chiama la «doppiezza finale», per cui, da un lato, una chiara condanna del nazismo fu pronunciata solo nel maggio del 1945, cioè quando il Terzo Reich era già sconfitto, mentre, dall’altro, il Vaticano fornì aiuto e sostegno ai gerarchi nazisti in fuga, dopo la disfatta finale, attraverso il cosiddetto «Canale dei topi».
“Dio è con noi” ripropone dubbi e interrogativi sui silenzi e sulle ambiguità di Pio XII, che restano tuttora insoluti. Silenzi che hanno pesato, e pesano tuttora, come un macigno, e che per Rivelli trovano spiegazione innanzitutto nel suo atteggiamento di complicità con Adolf Hitler. «Quello dei ‘silenzi’ di papa Pacelli di fronte alla barbarie nazista», scrive Rivelli nel libro, «non è il merito del problema, bensì la logica conseguenza. Il merito della questione è che, da segretario di Stato, il cardinale Pacelli fornì un contributo decisivo all’avvento di Hitler al potere, e da pontefice fu silente complice politico del nazifascismo che insanguinò l’Europa». L’autore sottolinea, inoltre, come l’atteggiamento di indisponibilità da parte della Santa Sede ad aprire i suoi archivi segreti stia a dimostrarlo: «L’espediente è patetico», scrive l’autore, «poiché quanto è stato storiograficamente accertato ed è oggi noto lo attesta già con sufficiente chiarezza». Proprio l’atteggiamento chiuso del Vaticano sulla questione dei suoi archivi segreti, riproposto oggi ‘a fortiori’ dalla causa di beatificazione, che dovrebbe costituire un ulteriore tassello di quel martirologio anticomunista e antiebraico cui Benedetto XVI attende da tempo con alacrità degna di miglior causa, portò nel 2001 al fallimento della Commissione mista ebraico-cattolica, composta da tre storici ebrei e tre cattolici, che era stata istituita nel 1999 presso la Santa Sede esattamente con lo scopo di approfondire lo studio del periodo storico relativo alla ‘Shoah’.
In conclusione, con il passare del tempo, il dibattito riguardante la questione dei silenzi e delle responsabilità di Pio XII e della Chiesa di Roma in relazione al sostegno ai regimi nazifascisti e alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei non accenna ad attenuarsi. Evidentemente, all’attuale papa sfugge la contraddizione, che è patente, fra la scelta di portare avanti la causa di beatificazione di questo ‘papa nero’ e la volontà di agire affinché una tragedia come quella vissuta dal popolo ebraico non accada mai più. A nessun altro.
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