Dibattiti sotto elezioni

Domenica scorsa si sono espressi sulla situazione italiana e sulle sue prospettive economiche tre voci significative e autorevoli: il segretario della CGIL, il governatore della Banca d’Italia, il presidente della Confindustria. Non sono stati impiegati accenti ottimistici; anzi. Siamo indietro rispetto agli altri paesi, la nostra economia non si sviluppa e non ha numeri per competere, il tempo stringe per risanare la situazione. Insomma, non va assolutamente bene, ma forse c’è speranza.

La sera del lunedì successivo, alla trasmissione di Porta a Porta su RAI1, il vicepresidente del Consiglio Fini e il presidente dei DS D’Alema si sono appunto riferiti, a sostegno di critiche o di difese dell’azione del Governo, alla intervista al presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo pubblicata dal Sole 24Ore. Ho cercato di raccapezzarmi riprendendo l’articolo, e mi è venuto in mente l’aneddoto del padre, del figlio e dell’asino che viaggiavano. Il padre cavalcava e il figlio camminava accanto. I passanti esclamavano:”Padre snaturato, sta sull’asino mentre il povero fanciullo deve camminare”. Il padre scese e fece salire sull’asino il figlio. “Oh, il figlio snaturato – esclamarono i passanti – lui giovane a cavallo e il vecchio padre a faticare”. Entrambi salirono sull’asino. “Oh la povera bestia, oppressa dal peso di quei due egoisti”. I due scesero e camminarono tenendo l’asino per la cavezza. “I due imbecilli, hanno l’asino e vanno a piedi”. E’ difficile giudicare e comportarsi ottenendo l’approvazione di tutti.

Vediamo cosa diceva Montezemolo. “Questo Paese non attrae più come una volta gli investimenti esteri; di turisti ce n’è sempre meno; gli studenti e i cervelli che scelgono l’Italia sono pochissimi. L’Italia non va. Viviamo un momento ancora più difficile del 2004: crescita zero, perdita di quota di mercato internazionale, un livello insopportabile di spesa corrente, la più bassa qualità dei servizi, investimenti pubblici e privati ai minimi.” E così via. Si elencano poi i temi su cui è necessario muoversi: attuare concorrenza fra sistemi pubblici e privati e abolire la tutela delle corporazioni professionali; incoraggiare l’innovazione con sgravi fiscali sulle relative spese; ridurre la differenza fra il costo globale del lavoro e quanto il lavoratore percepisce (il cuneo fiscale e contributivo) e favorire l’occupazione; ridurre il costo dell’energia. E si indicano linee di azione per la copertura dei costi connessi.

Sostanzialmente Fini e D’Alema erano d’accordo sulla diagnosi e, con dei distinguo, sulle terapie; Fini diceva però che la congiuntura internazionale molto sfavorevole aveva penalizzato le azioni del Governo che tuttavia era riuscito a ridurre le tasse, come promesso; D’Alema diceva che la riduzione, peraltro irrilevante, delle imposte dirette era stata più che compensata dall’aumento di tasse indirette. Ognuno si riferiva a numeri dell’ISTAT (Istituto Centrale di Statistica, ente ritenuto al di sopra di ogni sospetto) per sostenere le sue tesi. E’ stato un bello spettacolo, un intrattenimento recitato. Sorrisi suadenti, accenni ironici, esplosioni di aggressività verbale, manifestazioni di autocontrollo nel riprendere la calma, reciproche espressioni di stima circa l’intelligenza e l’onestà di entrambi, esibizione di conoscenza di numeri e problemi. Sull’utilità reale dei fogli di cifre che ognuno teneva in mano ho dei dubbi: l’andamento del dibattito non consentiva la loro consultazione, tuttavia avevano certo un loro prestigio simbolico. Si ha una religiosa deferenza dei numeri, eppure in queste questioni essi non contano tanto quanto l’analisi delle cause dei fenomeni. E qui i contendenti si palleggiavano responsabilità e inadempienze. In queste spiegazioni mi è parso che le ragioni di D’Alema avessero più concretezza, e che le ragioni di Fini fossero di logica più sofferta. Ma questo non basta per dire che il centro-sinistra abbia ragione e il centro-destra abbia torto. In questi dibattiti può prevalere chi ha più abilità, è più riposato, ha il viso e il tratto più simpatico, ha accenti apparentemente più sinceri. La questione deve porsi invece come nelle valutazioni sulla gestione aziendale. Si guarda il bilancio, si guardano i risultati. L’amministratore delegato trova pur sempre delle valide ragioni e responsabilità esterne se le vendite sono diminuite, i margini si sono ridotti, si sono persi dei crediti, i costi sono aumentati, non si trovano buoni operai. Però se i risultati sono inferiori rispetto a quanto ci si aspetta l’amministratore delegato ne subisce le conseguenze, e con ogni probabilità i soci lo sostituiscono.

Questo è il bello del sistema bipolare. Gli elettori hanno da scegliere fra alternative. Chi ha vinto deve dare dei risultati, sennò può venire sostituito. E’ la discriminante fondamentale per rendere attuabile una democrazia abbastanza efficace, senza arrampicarsi sugli specchi delle interpretazioni. Questo è avvenuto e avviene in USA, in Gran Bretagna. Indipendentemente da tutte le spiegazioni e i riferimenti ai numeri ISTAT, la sensazione diffusa dei cittadini è che le cose non vanno, che siamo esposti a rischi e non siamo in grado di contrastarli efficacemente, che i margini di benessere, di tranquillità e sicurezza sociale si sono ridotti.

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Pubblicato il 11 Marzo 2006
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