Il coro ligneo della chiesa della Motta

Varese - Le riflessioni dell'antropologo Battista Saiu

Lo scorso anno il prof. Piercarlo Grimaldi, titolare della cattedra di etnologia all’Università del Piemonte Orientale, la sera del 16 gennaio ha parlato ai Varesini dei significati antropologici del ciclo delle feste di inizio anno fra le quali si colloca quella di Sant’Antonio. Ha poi visitato la chiesa della Motta dove ha apprezzato particolarmente il coro ligneo che è, nei mesi successivi, è stato oggetto di studio da parte del suo allievo Battista Saiu.

Quest’anno, la sera del 16 gennaio, a poche ore dal falò, Battista Saiu ci parlerà del coro e ci proietterà una serie di particolari dello stesso, commentandoli, ed invitandoci a leggere, anche dal punto di vista antropologico, questo importante segno della cultura varesina che pochi conoscono secondo l’ottica della ricerca etnografica.

In questa sede si propone una parte dell’acuto saggio di Battista Saiu che, corredato da un’ampia rassegna bibliografica, è oggetto di un’interessante pubblicazione scientifica.

“Tra gli elementi delle decorazioni spiccano grappoli di frutta e verdura, composti da mele, melograni, mele cotogne, cipolle, cipollotti, fichi, limoni, pere, pigne, carciofi e uva che, nel loro sorprendente alternarsi tra le pareti sacre, rinviano ad alcune rappresentazioni pittoriche coeve di Giuseppe Arcimboldo.

Simbolo di prosperità, immortalità e sessualità, nel mondo classico, la frutta eredita anche nel cristianesimo le valenze simboliche che ritroviamo pienamente espresse nell’articolata cornice vegetale, che scandisce gli scranni del coro di S. Antonio della Motta.

La curiosa presenza di amorini, che mostrano il ventre nudo, simbolo degli appetiti carnali, è controbilanciata dalle foglie di acanto che, nella simbologia cristiana, secondo quanto sostiene Jean Chevalier, rappresentano il peccato e la sua punizione.

Ricchissimo di significati è il “giardino ligneo” che costituisce la decorazione del coro: ogni frutto pare scelto con attenzione per racchiudere potenti simboli di fertilità: dalla mela cotogna, cibo delle spose e sacra a Venere, alla cipolla, potente contro le malefiche influenze lunari; dal fico, simbolo di fertilità, vita, prosperità e pace al limone che, nel cristianesimo, rappresenta fedeltà in amore. La pera indica buona salute e speranza ed il melograno eterna fecondità, fertilità, abbondanza. Alla pigna è attribuito il segno della fertilità e, per via della forma della fiamma e del fallo, indica la forza creativa maschile, la fecondità e la buona fortuna. L’uva rimanda ancora alla fertilità e, in quanto vino, simboleggia orgia e vigore giovanile. La mela, frutto della tentazione, viene a indicare la fertilità, l’amore e la gioia, in antitesi alla molteplicità del melograno che pur mantiene i segni dell’eterna fedeltà, fecondità e abbondanza.

Spettacolare è la teoria di maschere che fanno da reggipiede agli amorini che si disvelano: visi con le lingue oscenamente ostentate e ammiccanti, colte nell’atto del leccare la punta del naso, orecchie asinine e nasi schiacciati, adunchi o eccessivamente pronunciati, denti esageratamente sporgenti.

Tutto l’impianto decorativo del coro pare essere percorso da un movimento, da un fremito istintuale, quasi che le maschere che lo compongono fossero colte in un momento di trasformazione: le orecchie così pronunciate richiamano l’immagine della Metamorfosi cui è sottoposto il Lucio di Apuleio, trasformato suo malgrado in asino. Naturalmente il riferimento all’asino non pare casuale: l’animale, sacro a Priapo, è portatore di un forte messaggio di fecondità. Le maschere di Sant’Antonio della Motta su cui si innestano le orecchie asinine rinviano a un mondo carnevalesco, che scaturisce con i fuochi di fine anno, coincidenti proprio con la festività di Sant’Antonio abate.

Questa una delle letture possibili della presenza di una così peculiare commistione tra sacro e profano, commistione nella quale elementi precristiani trovano spazio e legittimazione all’interno di una sorta di “sacra rappresentazione” che rimanda ad antichi riti di propiziazione.

Infine le maschere leonine che fanno da capitello alle colonne che scandiscono l’ordine degli scranni sembrano rimandare ancora al sole evocato dal falò acceso nella piazza del sagrato il 16 gennaio, la vigilia della festa.

Battista Saiu.

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Pubblicato il 15 Gennaio 2002
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