Un libanese a Varese: «Qui si studia bene, non ci sono distrazioni»

Varese - Storia di Ghassan, 21 anni, tanti amici e uno nel cuore: si chiama Nir ed è israeliano

«Varese? La città ideale per studiare. Qui non ci sono distrazioni». Ghassan forse non si rende conto di quello che ha detto: il capoluogo che ospita l’Università non ha nulla da offrire a uno studente.
Insomma, le feste, i campus, le associazioni studentesche tutte cose da film o da Città Universitarie con la maiuscola; qui è il deserto, il luogo ideale, appunto, per lo studente modello. E Ghassan Skeini, 21 anni, libanese di Saida, Sidone, studente modello lo è davvero. Precisa subito che a Varese, dove è arrivato un anno fa, si trova benissimo, non ha fatto nessuna fatica ad integrarsi, ma che le sue aspettative sono state in parte tradite.
Ghassan, Gas come lo chiamano gli amici italiani, ha 21 ma ha vissuto il doppio dei suoi coetanei. Crescere in Libano non è una passeggiata, anche se forse per lui è stato più facile che per altri. Lo si capisce da alcuni dettagli: cinque fratelli, tre già laureati e due iscritti all’università.
Una famiglia affiatata («I miei genitori, soprattutto mio padre, mi hanno insegnato molto. Prima di tutto il rispetto per gli altri») ma non soffocante: tutti i figli sono stati liberi di “spiccare il volo” e fare le proprie scelte. Così come ha fatto Ghassan: «Ho dovuto lasciare il Libano perché non potevo frequentare l’università americana a Beirut come hanno invece fatto i miei fratelli – spiega in un ottimo italiano, anche se non proprio “fluente” -. Era troppo costosa e quindi i miei genitori mi hanno dato la possibilità di scegliere una qualunque altra università italiana. Io avevo sentito parlare bene della facoltà di medicina di Varese, la facoltà dove mi ero già iscritto in Libano, e ho deciso di trasferirmi qui. E confermo: qui si studia bene, non ci sono troppi divertimenti, anche se mi aspettavo qualcosa di più».
Difficile per Ghassan spiegare che cos’è quel “qualcosa” che gli ha lasciato l’amaro in bocca ma le noti dolenti, pare di capire, riguardano alcuni aspetti dell’università e la convivenza con i ragazzi varesini: «Non è sempre facile il rapporto con i professori che spesso non tengono in considerazione la difficoltà che abbiamo noi stranieri nell’esprimerci in italiano. Io devo ringraziare il mio professore di chimica, il dottor Pallavicini che ora è in pensione, perché mi ha aiutato davvero molto, ma altri non sono stati così fortunati.
Poi mancano i laboratori dove fare un po’ di pratica; i computer non li sanno usare tutti e questa è una delle cose che mi ha più meravigliato dei ragazzi di questa città».
E così si scopre che in Libano gli Internet Caffè, i bar con postazioni informatiche, esistono da anni e sono diffusissimi. «Qui se dici che sai costruire un sito conquisti una ragazza» dice Ghassan sorridendo un po’ imbarazzato.
E con la religione? Ghassan è musulmano ma ammette che non frequentava molto la moschea neppure a casa, in Libano,
Come passa il tempo, quindi, uno studente che vive lontano da casa e non può tornarci nemmeno il fine settimana? «Io lavoro, faccio il cameriere, segue un corso come volontario alla croce rossa e gioco nella squadra di football americano. Poi ho tanti amici, italiani e stranieri».
Ecco, appunto gli amici. Quali sono i rapporti con i colleghi che in patria rappresenterebbero il “nemico”? «Quando mi hanno detto che a Varese c’erano degli studenti israeliani ho pensato “ops, adesso che cosa faccio?”. Quando ci siamo conosciuti, per giorni non abbiamo sfiorato neppure il tema della politica. Io ho le idee chiare in proposito: il mio paese è molto vicino alla zona invasa dagli israeliani, ma sono molto tollerante. Non sapevo, invece, come avrebbero reagito loro. Poi è finita che uno di questi ragazzi israeliani è diventato uno dei miei migliori amici: si chiama Nir e adesso parliamo spesso delle nostre esperienze. Lui ha fatto il militare per due anni, abbiamo opinioni diverse ma ne parliamo, discutiamo. Io non ho parenti morti in guerra e forse questo mi consente di non essere troppo severo nei giudizi. Non so cosa farei o direi se avessi avuto esperienze diverse».
Poi suona il cellulare di Ghassan: è Nir. Risponde e riattacca: «Ha passato l’esame – dice Gas, sorridendo- mi ha chiamato per dirmelo. Adesso andremo a pranzo insieme». Un giorno torneranno in patria, ognuno a casa propria; che cosa sarà di questa strana amicizia? «Io non voglio perdere i contatti; spero ci si senta ancora». Forse è davvero troppo sperarlo: ma se il futuro sono loro, qualcosa può ancora succedere.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Marzo 2002
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