Informazione: i vizi varesini, i peccati italiani

Un viaggio nell’informazione tra passato e futuro. I problemi e le difficoltà , ma anche le intuizioni geniali, i percorsi innovativi e le morti “precoci”. Questi i temi nell'incontro promosso da Universauser

Un viaggio nell’informazione a Varese tra passato e futuro. I problemi e le difficoltà , ma anche le intuizioni geniali, i percorsi innovativi e le morti “precoci”. Varese laboratorio mediatico e Varese incapace di cogliere le sfide lanciate in anticipo sui tempi nazionali. E ancora il rapporto tra giornali e potere, l’autonomia dei giornalisti e gli equilibri, spesso complessi, all’interno delle imprese editoriali. Di questi temi si è parlato nell’incontro sull’informazione, organizzato da Universauser, tenutosi nell’Aula Magna dell’Università dell’Insubria. 

 

Nella serata sono intervenuti Saverio Clementi, primo direttore laico del Luce (da sette anni), Luciano Giaccari, primo editore televisivo varesino con Etl, Marco Giovannelli, direttore di Varesenews, e il giornalista Antonio Franzi, nella veste di moderatore.

 

Moltissimi gli spunti a partire dall’esperienza dei primi anni Settanta di Etl. Luciano Giaccari ha ricordato i primi passi della propria emittente, «un’impresa famigliare» che aveva lanciato un nuovo modo di fare informazione vuoi per il linguaggio usato, vuoi per la vocazione culturale che la animava. «Ricordo la tempestività con cui si mandavano i nostri operatori a fare le riprese sui luoghi dove accadevano i fatti di cronaca. Questo costrinse anche il quotidiano locale a mandare i fotografi, e fu la loro fortuna, per documentare il fatto, cosa che prima non accadeva. Abbiamo inserito uno spazio del notiziario riservato al sindacato, esempio che poi riprese Rai Tre. Avevamo stipulato convenzioni trasparenti con gli enti per vendere loro spazi sulla televisione. Anche in questo siamo stati dei precursori. Insomma c’era una spinta editoriale innovativa che finì per mancanza di risorse economiche».

Quale che siano le ragioni di quella “morte”, per Giaccari il problema non è solo varesino, ma italiano: la mancanza di un progetto culturale complessivo, l’incultura dilagante, l’impossibilità di far collimare le tensioni culturali con i poteri forti, sono i fattori prevalenti di questa crisi. «Dove il potere politico incontra la cultura nascono delle iniziative importanti e interessanti. Un esempio eclatante è il museo di Rovereto degno del County Museum of Art di Los Angeles. Ma sono eccezioni»


Oggi, per molti media, gli spazi istituzionali riservati agli enti sono una fonte di vita  e sostentamento. Aspetto discutibile, secondo Saverio Clementi, che puo’ mettere a repentaglio l’autonomia e del giornale e del giornalista. Il direttore del Luce, dopo un breve accenno sulla storia del settimanale cattolico, ha ribadito che la via da seguire non puo’ essere altro che la qualità. «Io ho ancora una visione pedagogica di questo mestiere e ritengo che oggi si faccia troppa cronaca. Bisogna invece selezionare, approfondire e dare più qualità. In questo modo si aiuta il lettore a crescere e maturare. È difficile,  me ne rendo conto, perché gli italiani o sono tutti allenatori di calcio o giornalisti. Nel rapporto con la politica, mi chiedo poi se i giornali vogliano realmente incidere sui poteri forti.  Si dimentica spesso la funzione importante che spetta ai giornalisti che è di servizio e dare voce a chi non ce l’ha. Oggi sono pochi quelli che si possono permettere di fare gli inviati o i giornalisti d’inchiesta, la maggior parte di loro, seppur bravi, rimane inchiodata al desk, e puo’ scrivere solo se gli avanza del tempo. Sono i collaboratori che ruotano intorno alle redazioni che fanno i giornali».

 

In Italia si legge poco, questo è il motivo di crisi e uno dei nodi del problema, secondo Marco Giovannelli. «Giaccari ha centrato il problema: l’incultura dilagante si fa sentire sia sul fronte dei lettori che dei giornalisti. Oggi è difficile per i giornali svincolarsi dai poteri forti, ed è bene che tutti i rapporti avvengano nella massima trasparenza e sulla base di un progetto culturale. È altrettanto vero, però, che la forza dei giornali dovrebbero essere i lettori, che in Italia sono ben pochi. Sui decessi editoriali eccellenti le responsabilità politiche a sinistra, nel senso di lettori di sinistra, sono enormi. Le vicende di Unità e Manifesto insegnano.  Sui contenuti sono d’accordo per l’inseguimento della qualità, ma drammaticamente il picco di lettori lo si raggiunge con la cronaca e non con l’approfondimento. Il web ha dato una grande lezione nel rapporto con il lettore. La cosiddetta interattività la si sperimenta quotidianamente e in molti casi sono i lettori a stimolarci con critiche e appunti. Un errore comune a tutti i giornali è dare voce alle solite persone, senza porsi il problema di chi non ha rappresentanza e non viene ascoltato. Esempi come quello di Misna e Nigrizia sono emblematici e da seguire per impegno e serietà professionale».

 

Il paradigma negativo Varese-Italia sembra non essere confermato da  Canton Ticino – Svizzera. I nostri vicini di casa, come ha ricordato Antonio Franzi, sembrano infatti amare la lettura e l’informazione: 150mila copie vendute su un totale di trecentomila abitanti. Questo significa che un ticinese su due compra un quotidiano. Niente male.


Redazione VareseNews
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Pubblicato il 04 Giugno 2003
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