Sanità, i candidati scoprono le carte

A parlarne al nostro tavolo Giovanni Martina, Roberto Martegani, Giuseppe Adamoli, Antonello Colombo

Cominciamo oggi una miniserie di Forum con i candidati alle elezioni regionali, sui principali temi "caldi" della politica regionale: sanità, ambiente, economia, cultura. A dare il via alla serie forse è l’argomento più spinoso: la sanità.

A parlarne abbiamo chiamato Giovanni Martina, consigliere regionale in carica per Rifondazione Comunista, Roberto Martegani, medico e candidato indipendente per An, Antonello Colombo Capolista UDC e a lungo sindaco di Solbiate Olona e Giuseppe Adamoli, consigliere regionale in carica per la Margherita e uno dei principali rappresentanti della lista l’Ulivo per Sarfatti.
Per loro, come per i candidati invitati ai forum che seguiranno, alcune domande specifiche sull’argomento, ma anche qualche domanda più generale, da cui partiamo per questa intervista "collettiva".

Quanto si può essere felici in Lombardia?

Giovanni Martina (foto): «Ritengo si possa essere per lo meno più di oggi. Ho girato molto la provincia in questa campagna elettorale, ho visto molta gente che mi ha fatto sapere che sta peggio di una volta, che è meno felice di ieri. La verità è che felici in Lombardia si può esserlo solo con un’altra politica. Basta pensare all’inquinamento, oppure ai pendolari, o quel che concerne lo stato sociale con questo governo regionale».

Roberto Martegani: «Quello della maggiore felicità per tutti è un concetto fondamentale che va perseguito. E senza dubbio negli elementi che rendono felice una persona c’è anche un ambiente sano. La Lombardia non può però essere paragonata al Trentino Alto Adige: le nostre eccellenze tecnologiche e economiche si scontrano con la qualità della vita. Il ruolo di "Locomotiva" della Lombardia non fermarsi»

Antonello Colombo (foto): «La domanda è molto più profonda di quello che può sembrare. Io sono stato assessore e poi Sindaco di Solbiate Olona per molti anni e mi sono reso conto che il bisogno di felicità è cresciuto di pari passo con lo status sociale: più diventavano ricchi più avevano la sensazione di infelicità. Penso perciò che la soluzione per portare la felicità vada ricercata non solo nelle infrastrutture ma anche in un sistema economico e sociale che dia il giusto valore alle cose»

Giuseppe Adamoli: «Innanzitutto si può essere più felici dappertutto. Ma per arrivare a questo è importante, per esempio, migliorare la coesione sociale. Noi abbiamo vissuto epoche dove la coesione sociale aveva una soglia più alta di oggi: non una assenza di conflittualità, ma conflittualità in soglia minima. Ora invece c’è una rissosità e una conflittualità indecente e lo stesso Presidente del Consiglio fa la sua parte: mai c’è stato capo del governo meno unitivo di questo. Quando divide il mondo tra chi è con lui e chi è contro di lui non fa altro che dividere».

Quali sono le vostre tre priorità?

Giovanni Martina: «La prima è senza dubbio il lavoro: e a questo gli esempi che ho avuto modo di sentire in questi giorni di vite rovinate dalla mancanza di lavoro. La seconda è quella di riavvicinare i servizi sanitari alla gente, perché è diventato sempre più difficile accedere a tali servizi, mentre c’è un vero e proprio bisogno di rispondere alla necessità di salute delle persone». Il terzo è quello di risolvere il pendolarismo, anche ribaltando la proporzione che vede adesso per l’85% i pendolari spostarsi in auto».

Roberto Martegani: «Anche se siamo all’opposto del ventaglio politico, curiosamente le mie priorità sono identiche a quelle di Martina. Innanzitutto perché il lavoro nobilita le persone ed è una priorità per essere sereni. La seconda riguarda la Sanità, di cui mi preoccupa una zona grigia importante, quella del rapporto tra base e servizi sanitari. Il terzo anche per me riguarda i trasporti, per i quali è necessario anche trovare soluzioni per la mobilità su strada compatibili con il rispetto dell’ambiente».

Giuseppe Adamoli: «Per quanto riguarda il lavoro, io dico sì alla flessibilità e no alla precarietà. Per quanto riguarda la sanità, c’è da dire che la legge 328 non è stata attuata e i servizi socio assistenziali del territorio ancora la titano: e questa mi sembra la cosa più importante. Infine mi preoccupa la salvaguardia del territorio e dei suoi abitanti, inteso non solo in senso ambientalista ma più vasto: questo è il bene per me importante da difendere»

Antonello Colombo: «Tra le mie priorità in primo piano c’è il lavoro, ma subito dopo la sanità: riconosco infatti il lavoro svolto dall’amministrazione per l’eccellenza della sanità, l’impegno prossimo dovrà essere quello di migliorare il livello intermedio. E poi sono la tutela del territorio: una parola che comprende tutto: ambiente, viabilità, la casa»

La riforma Formigoni ha piantato un cuneo sul ruolo dell’Asl, che e’ diventato semplicemente un controllore e in fondo uno scatolone vuoto, suscitando un scacco di polemiche sul "modello lombardo" della sanità, verso cui si punta il dito anche per il rapporto pubblico/privato. Ma cosa funziona davvero e cosa no? E poi: la Lombardia è davvero polo di eccellenza? E infine: cosa pensate della "grande opera" sanitaria di qui, il nuovo ospedale di Varese?

Antonello Colombo: «Non vedo negativamente l’ingresso del privato nella sanità. Una volta privato significava dire "struttura d’eccellenza che si possono permettere solo i ricchi". Ma se ci sono strutture private che garantiscono un’eccellenza e possono essere utilizzate da un maggior numero di persone, ben vengano. L’unico punto importante e che il sostegno a queste strutture non deve precludere l’attività delle strutture pubbliche, che devono avere la possibilità di crescere. Sono d’accordo anche nel dire che l’Asl è stata svuotata delle sue competenze: ricordo quando gli amministratori pubblici discutevano nei consigli ussl la politica dell’ussl stessa: era un modo, importante, per restare in contatto col territorio. Ora questo contatto si è completamente perso. Per quanto riguarda l’ospedale di Varese, confesso di averne seguito poco le vicende: spero però che la struttura abbia fina da subito una sua precisa fisionomia, sennò rischia di essere del nuovo denaro pubblico sperperato».

Giuseppe Adamoli: «Non sono mai stato contrario all’immissione di dosi di privato nella sanità. Però gli accreditamenti che sono stati accordati in questi anni non hanno avuto logica pubblica, sono stati dati attraverso forza contrattuale del singolo richiedente. E questo non è giusto, perché il privato deve essere accreditato solo se si muove con la logica del pubblico: è troppo facile "fare il privato" con i soldi pubblici. Per quanto riguarda l’ospedale di Varese, io non sono mai stato d’accordo con l’idea di realizzare il nuovo monoblocco all’interno del vecchio ospedale: mi è sempre sembrato più logico prevederlo nelle strutture dell’ospedale psichiatrico, dove ora c’è l’attività didattica della facoltà di medicina, per rendere più facile l’integrazione tra le due realtà, quella ospedaliera e quella universitaria. La vicenda dell’ospedale richiama però un problema generale: quello della funzione monocratica del direttore generale, che può decidere fregandosene bellamente di tutti gli altri: e questi è stato un grande problema negli ultimi anni. Infine, che ci siano delle eccellenze nella sanità lombarda è fuori discussione. Non è certo una cosa che contestiamo: quello che contestiamo è la direzione che prendono queste eccellenze. E’ un sistema che va gestito». 

Roberto Martegani: «Io lavoro da vent’anni nella sanità pubblica (prima al servizio tossico dipendenze dell’Ussl di Tradate, poi come coordinatore dei medici di base sempre a Tradate e ora infettivologo all’ospedale di Circolo, n.d.r.) e perciò le mie risposte risentono inevitabilmente di questa esperienza. Posso dire senza dubbio che noi operatori abbiamo cercato di fare del nostro meglio per essere competitivi nei confronti del privato. Le eccellenze c’erano già prima e con il privato sono solo aumentate: ma è importante che ci sia un discorso di collaborazione tra queste realtà, dando accreditamenti solo a centri privati importanti che siano veri punti di riferimento. Il rapporto con il privato, infatti, può essere anche molto produttivo: quando lavoravo nel servizio per le tossicodipendenze, ero costantemente in contatto con strutture private – perlopiù onlus – e insieme abbiamo dato molto per risolvere il problema». L’ospedale di Varese ha problemi più che altro geografici: per la sua posizione la struttura diventa un collettore di persone provenienti da tutte le parti specialmente dal nord della provincia. C’è da segnalare però che il continuo "valzer dei direttori" è un gran problema per chi lavora lì – me compreso – è importante infatti che queste persone possano lavorare per più anni nello stesso posto, con mandati più lunghi, perché ad ogni cambio sentiamo proprio venir meno le direttive generali».

Giovanni Martina: «Per quanto possa stupirvi, nemmeno noi di Rifondazione siamo contro il privato: il problema però è capire come l’attività dei privati è finanziata con i fondi della collettività. Per rendere tutto il sistema di riforma sanitaria regionale funzionale al rapporto pubblico/privato la legge 31 ha completamente svuotato le Asl, cioè il rapporto del territorio. E questo, invece, non è affatto un bene. Inoltre, un sistema del genere non aiuta l’attività di prevenzione, se privati guadagnano CURANDO la gente, invece che prevenendo. La politica della Regione è assolutamente troppo sbilanciata verso il privato: Luino, Cittiglio, Somma Lombardo sono ospedali che stanno svuotando fino a far perdere completamente agli utenti la fiducia in questi e a riversarli sull’ospedale di Varese. A Varese invece costruiscono un nuovo ospedale: ma qual è il bisogno di salute, in base a a quali ricerche lo stanno costruendo? E stanno dando contemporaneamente delle funzioni a Cittiglio e a Luino? Io dico di no. Anche perchè la clinica Le Terrazze di Cunardo (che si occupa di riabilitazione) sta aumentando a dismisura, anche grazie alle scelte della Regione, malgrado una volta il polo riabilitativo fosse all’ospedale di Luino, mentre sta nascendo la Fondazione Borghi (che si occupa di geriatria, e possiede anche una piccola sala operatoria).La verità è che il sistema sanitario lombardo era tra i migliori nel mondo prima di Formigoni, e lo è ancora. Ma non so per quanto». 

Quale dev’essere il rapporto con l’università in campo sanitario?

Giovanni Martina: «La ricerca è fondamentale, ma non deve sopraffare l’attività ospedaliera. Le due cose si devono incontrare ma una non deve fagocitare l’altra».

Roberto Martegani: «La ricerca è una peculiarità dell’Università, e la didattica deve entrare anche in ospedale, dove medici ospedalieri possono implementare il bagaglio culturale dello specializzando con insegnamenti derivanti dalla pratica».

Giuseppe Adamoli: «In un ospedale che ha anche l’Università, ricerca e didattica son grande risorsa e nell’integrazione nel nuovo monoblocco dell’ospedale la convivenza proficua è primo obiettivo da perseguire. Si tratta di due comunità che devono vivere una accanto all’altra, in maniera utile e proficua per tutti»

Antonello Colombo: «Il problema della ricerca non sta nella questione logistica: il problema più difficile è quello finanziario. Se non ci sono i fondi, non si può fare ricerca. Per quest ritengo che sia necessario reperirli con una collaborazione con il privato. Bisogna rendere appetibile al privato un elemento nel settore della ricerca».

Infine: qual è il vostro sogno, personale e politico?

Giovanni Martina: Io sono arrivato a Varese nel 1970: il mio sogno, arrivando da un paese del sud, era di poter costruire un progetto di vita. Io ce l’ho fatta, e vorrei che tanta altra gente che è emigrata come me da un altro paese possa arrivare a metterlo in pratica»

Roberto Martegani: «Vorrei cercare di aiutare, con il mio contributo, la società. Perchè i miei due figli possano vivere in una società migliore, come mio padre ha fatto per me. Insomma, ho una tradizione di famiglia da continuare…»

Giuseppe Adamoli: «Vorrei un bipolarismo più maturo e virtuoso di quello, sgangherato, che abbiamo avuto fino ad oggi. Un bipolarismo che sia in grado di essere alternativo nei progetti ma rispettoso nella quotidianità».

Antonello Colombo: «Io ho due sogni. Uno da amministratore: vorrei far sì che tutte le famiglie possano sopravvivere agevolmente e possano avare servizi su cui contare. Il secondo è più generale: vorrei che la politica tornasse ad essere un "vestito" per le persone, non un "di più" non necessario. E vorrei, per aiutare questa cosa che ci fosse più contatto tra le persone e chi amministra la cosa pubblica»

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Pubblicato il 30 Marzo 2005
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