Indicatori per agire e indicatori da subire
Qualche tempo fa, scrivendo del controllo budgetario, sembra che abbia criticato. Non ho criticato il rapporto contabile periodico, ho criticato la sua mitizzazione.
Penso all’imprenditore che si è fatto da solo, che produce un prodotto che serve e che gli viene richiesto, che ha visto crescere sotto i suoi occhi e sotto le sue mani l’azienda prendendo giorno dopo giorno decisioni riguardanti tutte le sfaccettature operative: assunzione di dipendenti, acquisti di materiali, costi di produzione, trattative con le banche, negoziazioni con i clienti. Egli ha il polso dell’azienda nel sangue e, mentre è assorbito da tutte le cure della gestione, tiene un occhio attento soprattutto su di un principale indicatore: il saldo del conto bancario. Poi prende un consulente che lo assiste nel preparargli il bilancio e la relazione sulla gestione. E nella relazione il consulente si compiace di includere numeri indici quali il ROI (return on investment), ROE (return on equity) e quant’altro. Bilancio e relazione sulla gestione sono però preparati circa tre mesi dopo la fine dell’esercizio, se non più tardi,
Ogni rapporto contabile deve avere tre fondamentali qualità: tempestività, significatività, semplicità. Deve essere tempestivo; infatti l’avere informazioni su di un periodo di un anno disponibili tre mesi dopo la fine dell’esercizio può dare un’aura di professionalità alla relazione, ma serve operativamente a molto poco. Deve essere significativo; i numeri indice aziendali hanno senso solo in relazione ad una certa struttura operativa, e perché servano devono agire da stimolo per considerazioni e approfondimenti articolati, senza i quali significano ben poco. Deve essere semplice; gli indici complicati, che considerano diverse variabili dalle complesse relazioni, non hanno quella immediatezza di percezione che sola può stimolare decisioni e interventi operativi.
Penso quindi, quando parlo di controllo budgetario, a un rapporto mensile che contabilizzi ricavi e costi di competenza, che indichi il margine lordo della produzione e la sua percentuale sui ricavi, che confronti il livello delle varie categorie di spese con la previsione e semmai anche con i corrispondenti costi del precedente esercizio, che veda quanti mesi di vendite rappresentino i crediti verso clienti e quanti mesi di acquisti rappresentino i debiti verso fornitori, e quanti mesi di consumi siano immobilizzati nelle rimanenze di magazzino. Suggerisco anche, se la situazione finanziaria è un po’ tesa, una previsione dei flussi di cassa almeno per i successivi tre mesi. E questo rapporto deve essere disponibile al massimo venti giorni dopo la fine del periodo considerato. Informazioni semplici, significative, tempestive. Così da poter stare tranquilli oppure prendere provvedimenti rapidi capendo con immediatezza di cosa si tratta.
Poi certamente si possono, e fors’anche si devono, predisporre altri indici di valutazione della strategia economico-finanziaria che ha lo scopo di determinare e perseguire obiettivi di liquidità, solidità, redditività e sviluppo. Ma questi indici sono solo strumenti di analisi della situazione dell’impresa e delle sue possibilità operative, e senza approfondimento lasciano il tempo che trovano. Bisogna che l’imprenditore, sia pure assistito dal consulente, ragioni sulla sua impresa e verifichi le condizioni per valutare se la strategia economico finanziaria che ha attuato è appropriata o debba essere riformulata.
Questo è il bello dei rapporti e degli indicatori aziendali: vengono interpretati e stimolano valutazioni che inducono a prendere provvedimenti per incidere sulla realtà e migliorare le cose. Ragionare, capire, agire. E’ bello e corroborante.
I numeri indice rappresentativi della salute dei conti pubblici sono anche importanti, anzi importantissimi, pur se talvolta ingannevoli. E noi cosa ci possiamo fare? Sono complicati e nemmeno sempre compresi nelle loro implicazioni, da essi non emergono univoci convincimenti sui provvedimenti da prendere per risolvere i problemi evidenziati, gli addetti ai lavori commentano e si contraddicono, ma non sempre risolvono. La macroeconomia è soggetta a talmente tante variabili! Noi leggiamo che il PIL cresce meno del previsto, che il commercio estero italiano presenta per il primo trimestre 2005 un deficit di 4.500 miliardi di euro, le cose ci sembrano negative, e infine ci perdiamo nella lettura dei commenti degli esperti e ancor più in quelli dei politici. E’ spiacevole questa sensazione di essere messi in una valigia e traghettati da un traghettatore talvolta inconsapevole. Mentre l’imprenditore deve solo ragionare, capire, agire.
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