«Cinema Vittoria, quella parte di me che se ne va»
Vittoria Peluso ha 90 anni e suo padre fondò il cinema varesino nel 1916. Figlia e sala con lo stesso nome per l’Italia in guerra
«Quel cinema è come una persona, ci sono cresciuta, è una parte di me stessa che se ne va». Vittoria Peluso porta lo stesso nome del cinema varesino. Ed ha la stessa età: 90 anni. Il padre di lei, che ha fondato la nota sala cinematografica nel 1916 insieme allo zio, ha dato a entrambe lo stesso nome: Vittoria. «Era in corso la prima guerra mondiale e mio padre si auspicava la vittoria dell’Italia – spiega la donna, 90 anni, vispa e dai ricordi ancora molto vivi -. Io sono nata nel ’15, il cinema nel ’16, la guerra è finita nel ’18. Certamente i soldi non mancavano allo zio, ma negli anni la scelta si è dimostrata sicuramente vincente».
Renato Resnati è il figlio di Vittoria e gestisce tutt’oggi l’omonimo cinema, ma nei giorni scorsi ha annunciato che il cinema potrebbe non riaprire a settembre, dopo la consueta pausa estiva. «Abbiamo sempre mantenuto il cinema di proprietà della famiglia – spiega Vittoria che oggi vive a Como -. Siamo benestanti e non abbiamo mai avuto problemi economici, non abbiamo fame per intenderci. Ma negli ultimi anni il cinema è andato sempre peggio, gli spettatori sono calati notevolmente e ci siamo resi conto che non possiamo costantemente andare in perdita e rimetterci dei soldi».
Qual è il primo ricordo che ha del cinema?
«Non saprei. Mio padre morì che avevo 12 anni, da allora la mia vita è sempre stata legata al cinema, anche se poi nei diversi anni lo abbiamo dato in gestione a persone diverse. Io ho fatto l’insegnante tutta la vita».
Il periodo d’oro quale è stato?
«Sicuramente quando abbiamo proiettato “Pane amore e gelosia” e “Pane amore e fantasia” (1953). Le proiezioni iniziavano all’una e mezza del pomeriggio e dall’una c’era già la gente fuori dal cinema sotto la neve. Mia sorella mi ripete spesso di ricordarmi che la villetta dove vivo me la sono pagata con i soldi della Titanus (la società che ha prodotto i maggiori successi degli anni ’50, ndr)».
Negli anni avete affrontato altre crisi, con la nascita della tv, poi i videoregistratori e vhs…
«Sì, ma siamo sempre sopravvissuti, anche se così tanti spettatori come negli anni ’50 non li abbiamo più visti. Almeno non durate tutto l’arco di un anno».
Cosa vi porta a decidere la non riapertura della sala?
«Tra poco a Varese il cinema Impero aprirà ben nove sale. È innegabile che ci porterà via spettatori in una situazione già difficile. Per ora abbiamo preso questa decisione, ma non c’è nulla di certo, magari è solo una pausa, oppure viene fuori qualche investitore che vuole rischiare con il nostro cinema. Diciamo che la speranza di riaprire c’è sempre. Sicuramente, però, è cambiata la realtà».
Non riaprire il cinema che porta il suo nome è sicuramente una scelta difficile, cosa prova?
«Provo angoscia, è una parte di me che se ne va. Ma ho 90 anni, la mia vita l’ho fatta, non ho più l’energia né la voglia. I miei figli sono già belli grandi e ognuno ha la propria vita. Ma è inevitabile».
Non ha dubbi?
«Certamente sì, ma devo lasciare andare quella parte di me stessa».
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