Moto, famiglia e canestri, il credo di Pillastrini

Mentre la Cimberio si prepara alla prima amichevole contro Biella (sabato pomeriggio a Castelletto, ore 18,30 porte chiuse), scopriamo qualcosa di più dell'allenatore biancorosso

Scocca l’ora della prima amichevole per la Cimberio. Domani pomeriggio (sabato) alle 18,30 i biancorossi di ritorno da Druogno si fermeranno al palasport di Castelletto Ticino dove affronteranno l’Angelico Biella. Un match a porte chiuse, come richiesto dalla società piemontese, che servirà a Stefano Pillastrini per testare sul parquet quanto messo in pratica negli ultimi dieci giorni nella palestra di Druogno.
Proprio nella località vigezzina abbiamo incontrato il neotecnico biancorosso, che al di là del credo cestistico ha voluto parlarci del suo lato personale, quello meno conosciuto al pubblico.

Coach, lei risiede a Cervia: per la prossima stagione trasferirà la sua famiglia a Varese?
«No, rimarrà a Cervia come è avvenuto anche in passato. Con mia moglie abbiamo preferito così, in modo da mantenere i figli nel loro ambiente di amicizie e di scuola. Per me è un sacrificio, per loro anche, è una scelta dolorosa. Ma crediamo sia la più giusta».

Quando finisce la partita e lei ha un attimo di tempo, a cosa si dedica?
«Se posso, proprio alla famiglia. E poi ho una grande passione: la motocicletta. Possiedo un’Harley-Davidson e a giorni mi consegneranno una Mv Agusta Brutale: la prima è il mio vero amore, ma ora che sono a Varese sono orgoglioso di avere una seconda moto con quel marchio e quella storia. In questo primo periodo nella vostra città ho già testato qualche percorso: laghi, valli e colline intorno a Varese sono stupende, così come la Svizzera. Qualche giretto me lo concederò».

Spesso la vita dell’allenatore non permette mai di staccare la mente dal basket. Lei come vive questa situazione?
«Con il passare del tempo gestisco meglio questo tipo di stress. Il coinvolgimento emotivo d’altra parte è la linfa vitale per chi deve affrontare la competizione, però talvolta è necessario staccare e pensare ad altro. Ripeto, non è facile, però con l’esperienza ci riesco».

Però sul comodino ha un libro che parla di basket.
«Ora sì: ho rispolverato il volume di Phil Jackson, "Basket e zen" che non sfogliavo da un po’ di tempo. Ma non leggo solo quello».

Una curiosità: cosa ci racconta del Pillastrini giocatore?
«Poco: a 18 anni ho iniziato ad allenare, a 23 ero assistente in serie A, a 29 capo coach nella massima serie. Questa è stata la mia strada fin da subito. Comunque qualcosa in campo l’ho fatto e anche abbastanza bene a livello giovanile: giocavo nel vivaio dell’allora Fernet Tonic Bologna, terza squadra cittadina dove tra i senior militava Meo Sacchetti. Il mio era un anno buono, e spesso battevamo Virtus e Fortitudo. Ancora da juniores vinsi anche una Serie D, il torneo che ora è la B2, ero piazzato e potente, giocavo pivot ma non avevo la statura per proseguire ad alto livello».

Com’è entrare al palasport di Masnago da avversario?
«Guardate, preparare la partita di Varese per un allenatore ospite è più semplice. Quando arrivi al palazzetto e fai alzare gli occhi ai giocatori, loro capiscono cosa vuol dire giocare qui. E vi dico di più: queste cose le sentono anche gli americani che conoscono il valore delle storie sportive».

Domanda d’obbligo per chiudere l’intervista. A che squadra tiene?
«Rispondere al pubblico di Varese in questo caso non è semplice. Vengo da Bologna, sponda Fortitudo: non posso nasconderlo. E sapete una curiosità? Nella mia carriera sono stato esonerato solo da due società, Virtus e Fortitudo, a conferma di quello che si dice sui profeti in patria».

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Pubblicato il 29 Agosto 2008
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