Mafia e ospedale, Lucchina e Ciotti interrogati in aula
L'ex dg spiega le sue ragioni e ribadisce che non seguì personalmente le procedure antimafia, ma alla luce dei pareri legali cercò di evitare che il cantiere si bloccasse
E’ stato il giorno degli imputati, al processo sugli appalti sospetti nel reparto infettivi dell’ospedale di Varese. Hanno testimoniato l’ex direttore generale Carlo Lucchina e l’ex direttore dei lavori Paolo Ciotti. Si è parlato del progetto del 2002, deliberato in variante a quello originario. Secondo l’accusa, ci fu un aumento di costo a favore di una ditta che non aveva il certificato antimafia.
A quell’epoca, i lavori erano fermi, i malati usavano le stufette in camera e la situazione sanitaria non era ottimale. «Il mio obiettivo era migliorare la vita dei degenti, i lavori dovevano continuare» ha sostenuto l’ex dg. Per questo diede il via libera. Una prima volta, quando autorizzò il subentro della ditta Russello di Gela, alla ditta Scuto caduta in fallimento. Una seconda volta, il 31 dicembre 2002, quando approvò il nuovo progetto degli Infettivi (l’appalto passò da 4 a 6 milioni di euro, ma a quel tempo, l’azienda Russello era sospettata di infiltrazioni mafiose).
L’accusa contesta la procedura “eterodossa” seguita, perché l’ospedale non chiese subito le autorizzazioni ad Asl, Ster e Regione omettendo di inviare la documentazione completa. La tesi accusatoria è che forse c’era qualcosa da nascondere. Per la difesa, fu invece una procedura seguita in buona fede. Tra il 2001 e il 2002, infatti, emerse che il reparto infettivi non poteva essere costruito con un sopralzo e il progetto andava cambiato poiché le fondamenta non avrebbero retto. Da qui nacque l’esigenza di un nuovo progetto che andava però approvato in fretta: causa dei ritardi burocratici, i Russello avevano maturato il diritto a recedere dal contratto. L’ospedale, in sostanza, si sarebbe trovato nella condizione di dovere spendere soldi per le penali, senza poi avere nulla in mano. Ciotti ha dichiarato che ritiene, in coscienza, di aver operato bene: se avesse aspettato di aver in mano tutta la documentazione, i lavori si sarebbero bloccati. Ma perché, successivamente, aspettò un anno e mezzo a inviare i documenti agli enti preposti? Su questo punto, Ciotti ha affermato che si creò un conflitto di attribuzione su chi dovesse pagare i lavori dell’innesto tra il reparto infettivi e il nuovo ospedale, il cui cantiere stava muovendo i primi passi in quei giorni. Solo quando fu risolta la questione inviò la documentazione, nel 2004.
Informò Lucchina e Rotasperti di questa procedura? (il pm Claudio Gittardi l’ha definita “uno strappo alla regola”). «Non mi ricordo» ha risposto l’ex dirigente. L’accusa ha insistito su questo punto, fondamentale, ma Ciotti ha ribadito tre volte di non ricordare.
Lucchina, dal canto suo, ha affermato di non aver mai saputo che i documenti per le autorizzazioni non erano stati inviati subito. E di averlo appreso solo dopo l’avviso di garanzia. E anche in ordine alla mancata richiesta di certificato antimafia, ha sottolineato che all’epoca diede incarico all’ufficio competente di curare tutta la documentazione necessaria. Firmò il nuovo progetto l’ultimo giorno del suo mandato a Varese, perché non voleva che si bloccasse tutto, e oggi se n’è un po’ pentito: «Non lascio mai nulla indietro – ha detto amareggiato – un comportamento che forse rivedrò alla luce di questa esperienza di vita».
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