Rosario Priore: “Chi vuole cambiare l’Italia muore”

Il magistrato che ha indagato sulla strage di Ustica e sull’attentato a Papa Giovanni Paolo II, alla presentazione del libro “Chi manovrava le Brigate rosse” ha parlato della presenza di un nucleo duro e irriducibile, collegato agli stessi apparati statali e ai ministeri, che si oppone al cambiamento

«In cima alla lista degli obiettivi dei terroristi oggi c’è il giuslavorista Pietro Ichino. E quando decidono che l’ultima ora è arrivata, ci riescono. Il prossimo a cadere sarà lui». Rosario Priore, a Varese per presentare il libro “Chi manovrava le Brigate Rosse (Ponte alle Grazie), scritto a quattro mani con il giornalista Silvano De Prospo (nella foto), quando parla di terrorismo politico non lo fa al passato. L’ex giudice istruttore di Roma, che ha indagato sulle stragi di Ustica e di Fiumicino e sull’attentato a Papa Giovanni Paolo II, è convinto che ci sia un nucleo duro e irriducibile, in qualche modo collegato agli stessi apparati statali e ai ministeri, che si oppone al cambiamento. «Tutte le volte che in passato – continua Priore – c’è stato qualcuno che ha tentato di mettere mano alle norme sul lavoro, è morto». Il riferimento è ai due studiosi di diritto del lavoro e consulenti del governo italiano, Massimo D’antona e Marco Biagi, il primo ucciso a Roma il 20 maggio 1999 (anniversario dello Statuto dei lavoratori), il secondo a Bologna il 19 marzo del 2002, entrambi vittime delle nuove Brigate rosse.
Alla luce di quanto emerso in anni di inchieste e processi, quella della talpa nei ministeri, almeno se riferita al passato, non è più un’ipotesi, ma una certezza. Il primo ad intuire questa verità fu Emilio Alessandrini, ucciso da Prima Linea a Milano nel 1979. Un anno prima della sua morte, il magistrato riferì a Bettino Craxi che la risoluzione strategica numero 2 dei brigatisti rossi era stata scritta da mani esperte, persone di cultura elevata che conoscevano molto bene la situazione carceraria internazionale, perciò esterne al gruppo brigatista. Il magistrato aveva, dunque, capito prima di altri che c’erano alcuni terroristi che avevano accesso ai ministeri e a tutte le informazioni necessarie per pianificare le loro azioni. «Alessandrini, che era un ottimo magistrato, aveva visto giusto – conferma Priore -. Il capo brigatista Giovanni Senzani, che era un consulente del ministero di Grazia e giustizia e vicino ai servizi segreti, lavorava al fianco di coloro che poi sarebbero diventati vittime delle Br, magistrati come Palma, Minervini e Tartaglione. Tra l’altro è molto probabile che fu Senzani a interrogare Aldo Moro durante la prigionia. Solo uno esperto, uno che conosceva le cose dal di dentro, era in grado di farlo, perché Moro, sul piano dialettico, ti rivoltava come un calzino».

Gli anni ’70 sono uno spartiacque importante per capire la storia italiana, soprattutto sul versante politico di sinistra. C’è un episodio interessante sulla strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre del 1969, che rappresenta molto bene il caos politico che si viveva in quegli anni. «All’indomani della strage – racconta Priore – il Pci e quelle che sarebbero diventate le Br chiamano a rapporto gli anarchici, per chiedere spiegazioni. Questi ultimi ubbidiscono con disciplina e si sottopongono all’indagine interna che qualche anno dopo verrà utilizzata in un processo a Torino. Ebbene, quel faldone è sparito, qualcuno lo ha sottratto dalla cancelleria, ma non sappiamo se è stata la mano buona o quella cattiva. Se il Pci è uscito da quell’ambiguità, deve dire solo grazie a Enrico Berlinguer che, nel 1972, ha preso la strada dell’eurocomunismo, tagliando di netto ogni legame con chi all’interno del partito sosteneva la lotta rivoluzionaria».

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Pubblicato il 17 Dicembre 2011
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