“A bordo della Concordia, con la paura di perdere nostro figlio”

Giancarlo De Bortoli e Barbara Gnemmi erano in crociera con i due figli di 3 e 5 anni. Raccontano i momenti concitati dell'affondamento della nave, la mancanza di informazioni, la paura. E ringraziano i ragazzi del miniclub

L’ansia, la paura, l’allarme. Poi un enorme sospiro di sollievo e il ringraziamento a chi ha salvato i bambini. Giancarlo De Bortoli e Barbara Gnemmi sono di Malgesso ed erano sulla Costa Concordia, la nave affondata al largo dell’isola del Giglio il 13 gennaio scorso: con loro anche i piccoli Riccardo, 5 anni, e Sara, 3 anni. A meno di una settimana dalla tragedia raccontano le fasi concitate dell’incidente, la mancanza di informazioni, lo sgomento e la fine fortunatamente felice della vicenda. «Siamo andati in crociera per rilassarci e staccare per una settimana – racconta Giancarlo, 42 anni, socio di Ngi -. Era il regalo per i 36 anni di mia moglie: non se lo dimenticherà di certo, purtroppo. È andato tutto bene fino a quel maledetto incidente. Noi eravamo in teatro, aspettavamo lo spettacolo del mago: con noi c’era solo Sara, mentre Riccardo era allo Squok Club, il miniclub a bordo. Alle 21.30 abbiamo sentito uno scossone e la nave si è piegata a sinistra; poi di colpo si sono spente le luci e siamo rimasti nel buio totale. Di fianco si sono sentiti piatti e bicchieri cadere a terra, ma noi siamo rimasti abbastanza tranquilli: i messaggi degli altoparlanti tranquillizzavano, parlando di un guasto elettrico in riparazione. Dopo 25 minuti siamo usciti, mentre i ragazzi del miniclub hanno portato via i bambini. Lo staff correva avanti e indietro, dagli altoparlanti è arrivata la comunicazione di andare al punto di raccolta d’emergenza che ci era stato assegnato all’inizio del viaggio: parlava solo il direttore di crociera, il comandante non si è mai sentito».
 
«C’era acqua ovunque e noi avevamo l’angoscia di avere con noi solo Sara, mentre Riccardo era al miniclub – racconta Barbara -. Ci hanno dato i giubbotti e ci hanno sistemato davanti alla scialuppa 4, quella a noi destinata: siamo stati lì un’ora e mezza senza che nessuno ci dicesse nulla. Il panico cresceva e io volevo sapere dov’era mio figlio, ma nessuno mi dava risposte. Dagli altoparlanti arrivavano solo comunicazioni codificate e bip ripetuti che non potevamo capire. Oltretutto noi vedevamo solo acqua e onde ed eravamo convinti di essere in mezzo al mare, mentre dall’altra postazione di raccolta vedevano gli scogli del Giglio». Le file scomposte vicino alle scialuppe aumentavano col passare dei minuti, mentre il personale di bordo si dava da fare per tranquillizzare i passeggeri: «Ad un certo punto, in italiano e inglese soltanto, è stato detto di abbandonare la nave – prosegue Giancarlo -. In quel momento la parte della barca opposta alla nostra è andata sott’acqua, e la gente si è riversata dove eravamo noi: la regola “prima le donne e i bambini” è saltata del tutto tra spintoni e corsa per salire sulle scialuppe. Fortunatamente al messaggio di abbandonare la nave sono arrivati i ragazzi del miniclub con i bambini, che hanno riconsegnato via via ai rispettivi genitori nelle postazioni assegnate a inizio viaggio in caso di emergenza: sono stati fantastici, hanno tenuto i più piccoli tranquilli, facendoli giocare e cercando di distrarli. Mi sento di ringraziare in particolare Giovanni, il coordinatore dello Squok Club, che mentre a bordo c’era l’allarme è riuscito a divertire i bambini con travestimenti e giochi, non lasciandoli mai da soli».
 
Il momento di salire sulla scialuppa è stato altrettanto movimentato: «La nostra era ormai occupata completamente, così ci siamo avviati verso poppa per cercarne una libera – spiegano Barbara e Giancarlo -. Camminando prima e correndo poi siamo riusciti ad arrivare all’ultima imbarcazione disponibile, la numero 13: ci siamo letteralmente arrampicati tra parete e ponte ormai piegato. La scialuppa, con a bordo più di 200 persone rispetto alle 170 consentite, però a quel punto non poteva più scendere dritta in mare: abbiamo fatto un volo di 5/6 metri e abbiamo picchiato sul bordo della nave prima di arrivare in mare. In acqua poi abbiamo scoperto che chi doveva guidare la scialuppa non era in grado di farlo: andavamo a sbattere da una parte e dall’altra, contro le altre scialuppe. Poi fortunatamente siamo riusciti ad arrivare a terra». Sull’isola, con i soli vestiti indossati al momento dell’allarme, vale a dire una polo e un paio di jeans, i De Bortoli si sono rifugiati in chiesa e poi sono stati accolti da un’abitante, la madre del maître di bordo: «Ci ha offerto il suo letto – raccontano Giancarlo e Barbara -, dove abbiamo messo a dormire i bambini. La signora ci ha raccontato che la nave da crociera passava sempre vicino alla costa, per celebrare il capitano Palumbo: questa volta però l’hanno vista arrivare troppo vicina, si sono accorti anche da terra. Aspettavano la nave per il “tradizionale” saluto, ma si sono allarmati anche loro vedendola così vicina. Ci hanno anche dati per dispersi: per fortuna avevo portato con me il telefonino e ho potuto avvisare a casa che andava tutto bene. Ci siamo registrati il giorno dopo al porto, dove abbiamo potuto apprezzare la macchina dei soccorsi, praticamente perfetta».
 
A meno di una settimana dall’affondamento della Costa Concordia, restano le immagini di quei momenti tragici: «Abbiamo perso tutto – spiegano i De Bortoli -, documenti, vestiti, valigie. Avevo con me anche l’abito delle nozze – racconta Giancarlo -, ma anche quello è perso. Non è importante. Ci siamo salvati e questo è già un ottimo risultato. Se penso che delle persone morte alcune possono aver mangiato di fianco a noi, giocato coi nostri bimbi, mi viene il magone. Abbiamo un po’ di timore per come la vivranno i bambini: i primi giorni non sono stati facili, speriamo passi la paura col tempo. Si stanno dicendo tante cose di quanto è successo. Noi ci sentiamo di ringraziare chi si è occupato dei nostri figli al meglio. Costa ci ha anche già telefonato due volte per dirci che il rimborso è già pronto in agenzia e per chiederci se va tutto bene o abbiamo bisogno di altro supporto. Di certo leggere e sentire certe cose, come la telefonata tra il comandante della nave e la capitaneria di porto, fa star male: siamo allibiti, basiti per un simile comportamento. Avevamo affidato a lui la nostra sicurezza e ci ha ripagati così. Se oggi ci chiedessero di andare in crociera un’altra volta diremmo un cortese no grazie: è bello, ti coccolano e ti accudiscono, ma se succede qualcosa non possiamo più avere la certezza di essere al sicuro».

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Pubblicato il 18 Gennaio 2012
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