Mafiosi a tavola: “Ordinavano aragoste e pagavano una pastina”

Prosegue il processo per l'omicidio di Salvatore D'Aleo. Una ristoratrice descrive i comportamenti di Vizzini e Nicastro definendoli come pessimi clienti mentre Emanuele Italiano figura come un galantuomo della tavola imbandita

 «Mangiavano aragoste e volevano pagare come se avessero ordinato una pastina». E’ questa la descrizione fornita dalla teste in aula durante l’udienza del processo per l’omicidio di Salvatore D’Aleo per il quale è imputato Emanuele Italiano. La donna, moglie di un ristoratore di Busto Arsizio, si riferiva a Fabio Nicastro e Rosario Vizzini che quasi tutti i giorni andavano a mangiare nel locale: «Mangiavano di tutto, soprattutto pesce, spesso erano molesti e non si alzavano dal tavolo prima delle 3 di notte». Pessimi clienti, insomma, che pretendevano sconti esagerati oppure non pagavano «è successo una o due volte». Emanuele Italiano, invece, a tavola era molto più educato «pagava sempre regolarmente sia quando era solo o con la sua famiglia, sia quando era con altri». La sua gentilezza viene rimarcata dalla donna quando racconta che «una volta portò me e mio marito a cena fuori – racconta – voleva farci un regalo per il nostro matrimonio». Un vero galantuomo della tavola imbandita, dunque, che nascondeva una vita fatta di criminalità organizzata, spaccio di droga, estorsioni. A questi reati si aggiunge anche l’accusa di aver ucciso Salvatore D’Aleo insieme a Fabio Nicastro e Rosario Vizzini, già condannati e oggi pentiti.

L’udienza di oggi, martedì, ha visto anche un altro teste dell’accusa parlare in videoconferenza da un carcere, si tratta di Carmelo Mendolia, il killer del boss della sacra corona unita Salvatore Padovano che fu arrestato nel 2009 a Gallarate dagli uomini del commissariato e che da allora ha cominciato a collaborare e a raccontare tutto ciò di cui era a conoscenza, partendo dalla confessione dell’omicidio avvenuto nel 2008. Mendolia, prima di essere arrestato, ha bazzicato nella zona tra Gallarate e Busto Arsizio per circa una ventina d’anni e conosce molto bene il clan dei gelesi di Busto Arsizio pur non facendone parte. Mendolia ha raccontato fatti già noti al pm Narbone e ha confermato sia la struttura che l’organigramma della cosca dei Rinzivillo-Madonia a Busto Arsizio. Il processo, intanto, prosegue e a partire dalla prossima udienza toccherà alla difesa, rappresentata dall’avvocato Alberto Talamone, portare i suoi testimoni in aula. Tra i primi a sedersi al banco dei testimoni ci sarà un’altra figura di spicco come Salvatore Fiorito, che fino ad ora ha tenuto la bocca chiusa sull’organizzazione mafiosa della quale è accusato di far parte. A seguire ci sarà il figlio Cosimo e un altro teste eccellente, Crocifisso Rinzivillo detto Gino, capo della famiglia gelese all’interno di cosa nostra.

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Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Febbraio 2013
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